
Perché i cittadini non vanno a votare? I sondaggi in relazione alle elezioni politiche dicono che c’è il rischio che la metà degli elettori se ne resti a casa. Non solo. Da quell’eroica pattuglia del cinquanta per cento, stante la legge elettorale, che ancora non c’è ma i segnali sono tutti in negativo, può darsi che non esca alcuna maggioranza. Le elezioni per il rinnovo della Assemblea siciliana che si svolgeranno a novembre saranno un test importante anche per quanto riguarda la partecipazione. Importante anche per i riflessi nazionali del voto nell’Isola. Non è un caso che si stanno progettando liste, alleanze, che dovrebbero poi rivivere nelle elezioni politiche. Un guazzabuglio, patteggiamenti, alleanze innaturali, vedono protagonisti in prima persona i dirigenti nazionali del Pd, con un Renzi Matteo talmente terrorizzato da una possibile sconfitta, che si metterebbe insieme anche al diavolo.
Il segretario del Pd sguinzaglia gli uomini e le donne del suo staff in convegni addomesticati nel corso dei quali si ascoltano le proposte più astruse, il politichese è l’ingrediente preferito, gli scriba che benevolmente li intervistano si guardano bene dal fare loro domande su problemi che interessano i cittadini, con i quali si trovano a fare i conti tutti i giorni, il lavoro prima di tutto.
La politica praticata dal Pd lontana dal sentire e dai bisogni del popolo
La risposta al perché non vanno a votare è semplice: perché la politica praticata è lontana le mille miglia dal sentire popolare, dai bisogni del popolo. Non solo siamo al chiacchiericcio che prosegue anche di fronte ad avvenimenti drammatici che sconvolgono il mondo. Se ne dicono di cotte e di crude, la cultura politica è messa sotto i piedi, domina l’ignoranza nel senso della non conoscenza. Ci ha colpito, per esempio, una intervista rilasciata non dall’ultimo arrivato ma da un ministro come Martina, che è anche il numero due del Pd. Non parla di problemi reali, non accenna neppure alla lontana alle cose da fare, solo un linguaggio generico. Si addentra in analisi politologiche sulle possibili alleanze di governo e scopre il “riformismo moderato”, la “sinistra dei diritti”, aggiunge il ministro Calenda, anch’egli come il prezzemolo, non si capisce bene dove lo colloca ma lo vede fra i protagonisti di una alleanza di governo che, ovviamente, deve far perno sul Pd, cioè Renzi Matteo. Noi, che siamo gufi e ci teniamo, siamo andati a rivedere le nostre conoscenze sul riformismo. Siamo risaliti a Jeremy Bentham, filosofo inglese vissuto fra il 1700 e il 1800, il quale tenta di convertire “la moralità in scienza esatta. Il fine di ogni attività morale e di ogni agire sociale consiste nella maggiore felicità possibile del maggior numero possibile di persone”. Quello che oggi si potrebbe chiamare il “bene comune”. Durò poco l’illusione di un governo affidato al sapere dei filosofi illuministi. La Rivoluzione francese, poi gli stati nazionali, l’industrializzazione, il protagonismo delle masse, fanno nascere un “riformismo liberal radicale” che trova la sua ragione di essere in particolare in Inghilterra. Fu proprio Bentham, nel 1811 a inserire nel vocabolario della politica il termine “reformer”, riforme graduali per assicurare il benessere ai cittadini. Siamo andati avanti nella nostra ricerca, abbiamo ritrovato anche la riscoperta di Gramsci come un “riformista”. Mai ci siamo incontrati con il termine “riformismo moderato”. Abbiamo trovato invece “riformismo di sinistra” che qualche studioso ha riferito ad Enrico Berlinguer.
Politichese puro del vicesegretario Pd che Ignora la storia del riformismo
Allora perché Martina, che non è l’ultimo arrivato. usa il termine “moderato”? Politichese puro per nascondere una doppia realtà. “Riformisti moderati” possono essere gli alfaniani che ora sono molto corteggiati dal Pd, ma solo qualche tempo fa Renzi aveva sbeffeggiato il suo ministro degli esteri, sia per quanto riguarda le elezioni siciliane sia per le politiche. Un patto sarebbe già stato siglato. Si attendono solo le mosse di Silvio Berlusconi che per ora si tiene alla larga, ma in caso di bisogno potrebbe essere la stampella per un governo di salute pubblica, una replica del Nazareno. Se poi Forza Italia aderisce al Partito popolare europeo che ha consentito con i suoi voti l’elezione di Tajani a presidente del Parlamento europeo il gioco è fatto. Ci mettiamo pure Calenda, che come Gentiloni e Tajani piace tanto ai ciellini, ma Renzi sente puzza di bruciato e chiamerà le truppe cammellate alla Festa nazionale dell’Unità, quotidiano che da Renzi stesso è stato brutalmente chiuso, che si svolgerà a Imola a settembre per delineare il futuro dell’Italia. Ce ne è abbastanza perché gli elettori stiano lontani da queste sceneggiate in politichese.
Il Pd ha bisogno di una stampella a sinistra, la cerca in Campo progressista
Andiamo avanti, il Pd, partito riformista così definito dal suo segretario, si allea con i riformisti moderati, ha bisogno di una stampella a sinistra ed ecco che il Martina l’ha già pronta: la sinistra dei diritti di Pisapia, Campo progressista. Dal momento che ci sono altre forze che si definiscono di sinistra, per esempio Articolo1, Sinistra italiana, associazioni e movimenti, la distinzione lessicale di Martina significa che costoro non si battono per i diritti, appannaggio esclusivo dell’ex sindaco di Milano?
Ci si avvicina così al mese delle iniziative pubbliche, delle “feste” si fa per dire, dove le forze politiche tirano le somme. L’Emilia è la regione prescelta per gli appuntamenti settembrini. Festa dell’Unità per Renzi a Imola, Festa per Grillo a Rimini, Sinistra italiana si riunisce a Reggio Emilia, Articolo1 Mdp a Napoli, a Milano Pisapia riunirà le sue “officine”, così avremo modo di capire di che si tratta. Fra i tanti appuntamenti spicca quello della Cgil, assemblea generale a Lecce e di seguito una iniziativa sul lavoro. Ci viene da dire che ce ne era proprio bisogno, visto che il governo, Padoan in testa, punta ancora sugli incentivi alle aziende, una specie di rinnovato e rivisto jobs act. Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
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