Il patto disumano di Parigi sui migranti, dettato da Macron, erede del gollismo coloniale, e da Merkel, che miete consensi. “Fermiamoli a casa loro” significa consegnarli ai carnefici e agli schiavisti

Il patto disumano di Parigi sui migranti, dettato da Macron, erede del gollismo coloniale, e da Merkel, che miete consensi. “Fermiamoli a casa loro” significa consegnarli ai carnefici e agli schiavisti

Se vi fossero ancora dubbi sui risultati negativi, sul piano umanitario, del vertice di Parigi di lunedì, tra Germania, Francia, Italia, Spagna, Commissione Europea e i leader di Libia, Ciad e Niger, basta leggere le parole che Jean-Claude Juncker ha rivolto agli ambasciatori accreditati presso la Commissione europea. Dopo l’accordo con la Turchia, ha detto Juncker, “il numero di profughi arrivati in Grecia è calato del 97%”. E anche il numero di quanti “attraversano il Mediterraneo verso l’Italia si è enormemente ridotto negli ultimi mesi e non per un caso. È il risultato di una politica altamente contestata – talvolta criticabile – ma che resta efficace”. L’accordo con la Turchia di Erdogan ha fatto scuola, evidentemente, ai piani alti di Bruxelles: denaro, parecchio, finta cooperazione, costruzione dei lager, fine delle migrazioni verso l’Europa. E finalmente il disegno strategico dell’Europa che si chiude come una fortezza trova la sua piena realizzazione. Il piano d’azione europeo, che rimodula in Africa l’accordo con la Turchia, era già nell’aria in primavera, e poi al Consiglio europeo di giugno, quando si prendeva atto della vittoria dei governi xenofobi del centro Europa, guidati dal premier ungherese della destra oltranzista Orbàn, che non avevano mai condiviso la ricollocazione chiesta da Juncker di “ben” 160mila tra migranti e profughi. L’elezione di Macron in Francia e il timore della Merkel di arrivare alle sue elezioni del 24 settembre scoperta sul lato della soluzione del problema dei migranti, ha fatto il resto. I due veri protagonisti, Berlino e Parigi, non potevano però fare a meno di invitare “a cena” anche Spagna e Italia, le cui coste sono interessate agli sbarchi. Né potevano tralasciare qualche parola di conforto sulle iniziative – pessime – dell’Italia con la Libia. Roba da galateo istituzionale, nient’altro, dal momento che Macron in primis aveva tagliato fuori Gentiloni e Alfano fin dall’inizio, quando invitò all’Eliseo i due leader delle due parti in guerra in Libia, Al Serraj e il generale Haftar.

Macron e Merkel veri artefici della svolta “fermiamoli a casa loro”

Qualche quotidiano italiano ha allegramente titolato che “finalmente l’Italia torna a essere protagonista della politica estera europea”. Come abbiamo visto, non è così. Macron ha tessuto la tela dei rapporti con gli stati africani, da vero erede del gollismo coloniale, e la Merkel ci ha messo il carico da novanta delle risorse. L’Italia è stata a guardare, da comprimaria, come la Spagna, perché in fondo la soluzione prospettata dal piano d’azione è conveniente. E Macron ha anche dettato le regole del processo di identificazione dei migranti da esportare in Africa: da una parte i cosiddetti migranti economici, e dall’altra i rifugiati, come se chi fugge dalla guerra e dalla violenza fosse da tutelare di più rispetto a chi fugge dalla desertificazione e dalla fame. E come detto, su questo patto franco-tedesco, Juncker e la Mogherini hanno dato l’imprimatur di Bruxelles.

I dubbi e le critiche delle organizzazioni umanitarie e di alcuni saggi commentatori, come Alberto Negri

Non è un caso che le reazioni al piano varato a Parigi abbiano trovato molte voci critiche tra gli operatori umanitari, e i salti di gioia della destra, soprattutto quella italiana. In un articolo sull’Huffington Post, il vicepresidente dell’Arci, Miraglia, lancia accuse durissime al piano, e parla del cambio di un verbo: non più “aiutiamoli a casa loro”, slogan privilegiato non solo dalla destra, ma anche dall’ex premier Renzi, ma “fermiamoli a casa loro”, che è la filosofia del piano d’azione europeo, dal momento che come avverte Alberto Negri, in un bell’editoriale sul Sole24ore, quella della cooperazione, “della costruzione di ospedali e infrastrutture, è solo una favoletta che prima o poi verrà a galla”. Anche Medici senza frontiere, impegnata in prima linea nelle operazioni di ricerca e salvataggio nelle acque del Mediterraneo, prima dello scandaloso Codice di condotta di Minniti, avverte: “simili annunci sono stati già fatti in passato dai leader dell’Unione Europea ma finora abbiamo visto solo misure volte a chiudere i percorsi di fuga delle persone, nei Paesi di origine e in quelli di transito. Il risultato è che oggi per le persone è sempre più difficile fuggire dalla Libia, un Paese in cui sono a rischio e dove vengono respinti, in situazioni terribili, da parte della guardia costiera libica, addestrata dell’Ue”. Stefano Argenziano, coordinatore dei progetti sulla migrazione per Msf, prosegue: “Migranti e rifugiati che attraversano Ciad, Niger e Libia affrontano numerosi pericoli da parte dei trafficanti. Queste persone hanno urgentemente bisogno di alternative reali. La creazione delle condizioni per consentire alle persone di accedere a un’adeguata assistenza umanitaria e a procedure di asilo eque ed efficienti non si effettua da un giorno all’altro. Mentre il processo è in atto, le persone che non hanno altra scelta che fuggire devono essere in grado di farlo in modo sicuro. I leader dell’Ue devono garantire che le loro buone intenzioni non si trasformino in una trappola per le stesse persone che intendono proteggere dai trafficanti”. Eccolo il punto sul quale alcuni commentatori acuti e critici hanno puntato il dito contro questa sciagurata decisione europea: le buone intenzioni possono trasformarsi in una trappola.

Carlotta Sami, Unhcr: “il fatto che meno persone arrivino in Europa significa che le sofferenze sono aumentate”

L’altra verità viene rivelata, poi, da Carlotta Sami, dell’Unhcr, l’organizzazione che per conto dell’Onu si occupa della tutela dei rifugiati. “Il fatto che in Europa arrivino meno persone non significa che le sofferenze siano diminuite, anzi, sono aumentate proprio perché queste persone non possono uscire da lì. Lavoriamo sul campo anche per aiutare i libici, sono tanti gli sfollati interni, quasi 300mila. Facciamo assistenza nei centri di raccolta dei migranti, che non sono centri di accoglienza ma di vera e propria detenzione, per renderli centri aperti. Facciamo in modo di liberare i più fragili. Negli ultimi 18 mesi siamo riusciti a far liberare circa mille persone da questi centri. Le necessità umanitarie in Libia – precisa – sono però maggiori della nostra capacità operativa”. Come si sopravviva in questi veri e propri lager ci viene descritto dalle testimonianze di chi è fuggito. E sono parole che rinviano all’orrore, al terrore, alla violenza. Eccone una.

La trappola dei lager libici nel racconto di un giovane camerunense. Torture, sevizie, omicidi, violenze, schiavismo

“I libici ci hanno picchiato tutto il tempo, senza motivo. Ci hanno messo in prigione senza motivo. Le guardie carcerarie uccidono la gente e la gettano in una buca. Chiudono la buca soltanto quando è piena di corpi”. È talmente sconvolgente da sembrare appartenente al mondo irreale degli incubi la testimonianza di un giovane camerunense raccolta da una volontaria della Aquarius, la nave di salvataggio dell’organizzazione umanitaria italo-franco-tedesca Sos Mediterranee, gestita in partnership con Msf, Medici senza frontiere, che domenica 27 agosto 2017 ha tratto in salvo due imbarcazioni in acque internazionali ad est di Tripoli. “La frusta, mattina, pomeriggio e sera: questo è il nostro pasto. Ho assistito a una scena di tortura in cui guardie libiche hanno colpito la testa di un prigioniero appeso a testa in giù, come una palla”, ha raccontato il ragazzo africano, che ha raccontato di avere trascorso 6 mesi in stato di detenzione in Libia. “Abbiamo tutti sofferto così tanto. Tutte le persone che vedete qui sono passate attraverso tante prove, sono morte dentro da molto tempo, anche le loro famiglie devono credere che siano morti. Oggi è come una resurrezione”. Narrazioni agghiaccianti di fronte a cui Sophie Beau, vicepresidente di Sos Mediterrane’e, chiede di non rimanere indifferenti: “La prima cosa che raccontano i naufraghi quando arrivano a bordo non è il trauma del viaggio in mare. Quello che evocano, prima di tutto, è quello che chiamano ‘l’inferno libico’: sequestri di persona, stupri, estorsioni di riscatto sotto tortura, abusi e umiliazioni, il lavoro forzato, i mercati di schiavi”, rimarca Beau. “I migranti sono in balia di un traffico di esseri umani su larga scala. Invitiamo gli Stati europei e mediterranei ad ascoltare queste storie terrificanti prima che sia troppo tardi e che altre persone muoiano in mare mentre cercano di fuggire dalla Libia, o vengano respinte e rimandate nelle mani dei loro carnefici”. L’appello arriva proprio nel momento in cui i leader europei stanno invece elogiando le ultime mosse del governo italiano che ha stretto accordi con le autorità libiche per pattugliare le proprie coste per non fare partire le imbarcazioni. Non sembra una contraddizione disumana di cui il nostro governo è consapevolmente colpevole? Noi crediamo di sì.

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