
La notizia è terribile. Davanti alle coste dello Yemen sono morti affogati nella giornata di mercoledì almeno cento migranti, tutti giovani, 16 anni, somali ed etiopi. Raccontano i superstiti di essere stati costretti a gettarsi in mare dallo scafista che li stava trasportando. Aveva visto vicino alla costa, Golfo di Aden, provincia di Shabwa, le autorità che sorvegliano il “traffico” marino. Per questo si era “sbarazzato” del carico ingombrante, hanno riferito alcune agenzie di stampa. Non erano passate neppure 24 ore che la scena, terribile, si ripeteva. Questa volta i migranti costretti a gettarsi in mare sarebbero stati 180. Cinque corpi sono stati recuperati, cinquanta i dispersi, gli altri inghiottiti dal mare. “Episodi scioccanti e inumani”, rende noto l’agenzia Oim dell’Onu per le migrazioni. Questi sono gli scafisti, mercanti di morte, armati fino ai denti, che trattano donne, uomini, bambini come se fossero bestie, animali, che li costringono al suicidio o li uccidono. Questa notizia terribile dovrebbe far capire a Marco Travaglio, Paolo Mieli perché è già tanto se gli equipaggi delle navi delle Ong riescono a salvare decine di migliaia di persone, le sottraggono agli scafisti, rischiano la loro vita per salvare la vita degli altri. Quando giornalisti, firme autorevoli, domandano perché non vengono bruciati i gommoni, le barche, perché non vengono requisite, la risposta viene da questi terribili episodi. Pretendere che gli equipaggi delle Ong, che sono disarmati, dichiarino guerra agli scafisti, significa chiedere loro un suicidio. Catturare gli scafisti, sequestrare i barconi, bruciarli, distruggerli è compito della polizia, delle guardie costiere.
Desaparecidos centinaia, migliaia di donne, uomini, bambini sbarcati a Tripoli
Ma tutto questo non interessa ai media. La notizia di centinaia di morti affogati nelle acque del golfo di Aden non merita la prima pagina, non si racconta, quasi la si ignora. Si esaltano i “successi” del ministro Minniti che ha compiuto un miracolo, quello di essere riuscito a ridurre il numero dei migranti sbarcati sulle nostre coste ancor prima di aver dato attuazione agli accordi con il governo di Al Serraj, ancor prima di avere emanato quel “codice di condotta” che grida vendetta, una vergogna. È bastata la mossa, un battito di ciglia e gli scafisti, coda fra le gambe, sono scomparsi. In realtà gli scomparsi sono centinaia, forse migliaia di uomini e donne, sbarcati a Tripoli ed avviati ai campi di concentramento. Ma tutto ciò non interessa perché sulla pelle dei migranti si sta giocando una partita politica, le elezioni in Sicilia prima e poi quelle nazionali. Protagonisti di primo piano Renzi, i ministri Minniti e Delrio, con loro i fedelissimi del segretario del Pd, i capigruppo di Camera e Senato, Rosato e Zanda, che incontrano gli emissari di Alfano, il ministro più corteggiato, Alfano stesso che con un occhio guarda la vicenda migranti, studia le mosse di Minniti, con l’altro si occupa del pacchetto di voti di cui ancora dispone in Sicilia, merce di scambio anche per quanto riguarda le elezioni nazionali. Gli incontri si susseguono nelle trattorie romane, quelle vicine ai palazzi del potere. Danno una mano la sottosegretaria Boschi e la ministra Madia che giocano il ruolo di guardaspalle del capo, Renzi. Il quale deve guardarsi dalla intrepida ascesa di Marco Minniti, l’uomo di sinistra, o meglio, che ricorda le sue origini di giovane comunista ma le ha dimenticate e esibisce i muscoli in perfetto stile delle destre sulla pelle dei migranti. Qualcuno unito a quella truppa che va da Berlusconi a Salvini, passando per Travaglio, con i Cinquestelle che stanno a guardare cercando di lucrare anche loro sulla pelle dei migranti.
Sarebbe interessante capire chi ha inventato le “due culture” del Pd
Sarebbe interessante riuscire a capire chi è stato l’inventore della teoria delle “due culture” che si confronterebbero nel Pd, quella dei cattolici guidati da Delrio che provengono dalla Dc, dalla Margherita, dai prodiani dell’Ulivo, e quelli, D’Alema, Bersani in testa, “segnati” dalla militanza nel Pci. Minniti è un caso a parte. Di lui si apprezza la “fermezza” tipica si dice, dei comunisti, tanto realismo per affrontare situazioni difficili che richiedono poche parole e molti fatti. Non è un caso che uno come Renzi Matteo che viene dalla scuola della Dc, altri come lui, nello scontro interno al Pd di cui parlano anche autorevoli editorialisti, l’ultimo dei quali, il direttore di Tempi, periodico di CL, si schieri con Delrio, mentre altri, a partire dal presidente della Repubblica che, in un momento in cui ha prodotto uno strappo alle regole istituzionali, si è schiarato, lui uomo in piena sintonia con la Chiesa di Bergoglio, con Minniti, elogiando i provvedimenti che portano la sua firma. E non è un caso che tutta l’accozzaglia della destra sia invece schierata con il “comunista” Minniti. Berlusconi guida la fila, non si fida di Alfano il quale torna a cercare una sponda nel Pd, dopo aver minacciato tuoni e fulmini. Berlusconi, rimesso a nuovo, una terza o quarta gioventù, si dice abbia già messo a punto il piano per le elezioni siciliane e nazionali. Si muovono anche Salvini, con toni sempre più di destra estrema, la Meloni, in stile Alleanza nazionale, la fiamma del vecchio Msi, nel simbolo del suo partito. I sondaggi danno in Sicilia vincente una coalizione di centro destra, mentre i grillini scenderebbero al terzo posto. Tornano in pista personaggi come Gianfranco Miccichè, coordinatore siciliano di Forza Italia, Nello Musumeci, Raffaele Lombardo, Totò Cuffaro, l’avvocato Ghedini, che chiama Angelino Alfano al cellulare e lo passa a Berlusconi. Che lo snobba, si fa desiderare mentre Guerini e Delrio, si dice negli ambienti bene informati, avrebbero fatto passi avanti trattando con Alfano. Non solo sulle elezioni in Sicilia ma su una possibile intesa per le elezioni di primavera. Forse prima, visto che il capogruppo Pd alla Camera, Rosato, dice che con la approvazione della legge di bilancio si potrebbe andare al voto politico ad inizio anno mentre Zanda parla di legislatura che arriverà a termine in primavera. Una partita quindi apertissima, con Ap nel ruolo di jolly e che sta giocando la sua partita mettendo sul tavolo un consenso elettorale che nell’isola Alfano calcola intorno al 10%.
Il ricordo di una vecchia canzone popolare, la Guardia rossa
E Minniti entra in campo come l’uomo forte, invocato per anni a fronte dell’uomo debole, Renzi, lo sconfitto al referendum istituzionale, il perdente nelle recenti elezioni amministrative. Ci tiene a far sapere che la “mia è una storia di sinistra, sono entrato – dice – nel Pci da ragazzino. Ero a Gioia Tauro quando il Pci era in prima linea contro la ‘ndrangheta e molti dicevano che non esisteva”. Ci ricorda una vecchia canzone popolare datata 1919, la Guardia rossa che così inizia: Quel che si avanza è uno strano soldato/viene da Oriente e non monta destrier/la man callosa ed il viso abbronzato/è il più glorioso fra tutti i guerrier./Non ha pennacchi e galloni dorati/ma sul berretto scolpiti e nel cor/mostra un martello e una falce incrociati/gli emblemi del lavor/viva il lavor./È la guardia rossa/che marcia alla riscossa /e scuote/dalla fossa la schiava umanità…
Il ministro di polizia ricorda quando diceva “Qui si lavora, non si fa politica”
Ma Minniti, lo ricorda lui stesso, a Reggio Calabria nel 1980, sulla porta della Federazione aveva fatto scrivere: “Qui si lavora, non si fa politica”. Era un modo, spiega, per esorcizzare il fatto che eravamo intrisi di politica e di ideologia. Capito cosa intendo, capito cosa sono? Sì, lo hanno capito bene i retroscenisti, editorialisti dei giornaloni, non solo quelli di destra, forcaioli, raffinati cultori della politica come Travaglio, c’è una specie di ode alla fermezza. Minniti si muove sulla cresta dell’onda, sfrutta questo momento, rafforza con il consenso del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio il suo ruolo, è il primo ministro che si muove nel nome della fermezza. Già che c’è, visto che le primarie cui si richiama Renzi ricordando che lui è il candidato premier del Pd, non hanno alcun valore a fronte di una legge elettorale che non si sa quale sarà ma richiederà alleanze ad elezioni avvenute, un pensierino a quel ruolo lo ha fatto anche Minniti. Dice il ministro, intervistato da Repubblica: “La sinistra deve stare vicino a chi ha paura, per liberarlo dalla paura. Il populismo sta vicino a chi ha paura, per tenerlo inchiodato ai propri incubi”. Il popolo, pensa Minniti, ha paura del diverso, allora eliminiamolo. Basta un “codice di condotta”, un accordo con il governo libico, quella di Al Serraj, e il migrante sparisce, non arriva nei nostri porti. Donne, uomini, bambini, vengono fatti salire su autobus che dal porto di Tripoli li porteranno in campi di concentramento. Spariranno, e con loro sparirà l’umana solidarietà.
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