
Dal nostro corrispondente a Berlino
Se riunissero i propri voti, faticherebbero comunque a raggiungere la soglia di sbarramento al 5%. Sono i piccoli partiti che concorrono al rinnovo del Bundestag. Estremisti, monotematici o semplici burle, del tutto ininfluenti per gli esiti elettorali, ma interessanti per comprendere il panorama politico e gli umori della Germania attuale.
Le elezioni federali di settembre saranno una sfida diretta tra CDU/CSU e SPD, il cui esito verrà probabilmente deciso dai risultati dei possibili alleati – FDP da una parte, Grüne e Linke dall’altra – nonché da quelli del loro comune avversario, l’AfD. Tuttavia non saranno solamente sei partiti a figurare nelle schede elettorali. Al contrario, assommando le diverse circoscrizioni concorreranno al rinnovo del Bundestag ben quarantotto liste – quattordici in più rispetto alle consultazioni del 2013. Da un punto di vista politico nessuna di queste quarantadue comparse svolgerà un ruolo significativo. Si tratta di partiti che raramente superano i centomila voti, ovvero uno “zero virgola…” nel computo totale dei suffragi. Nonostante la loro irrilevanza, vale però la pena ricordare l’esistenza di questi movimenti, in primo luogo perché essi ci offrono uno spaccato di quel 5% circa dell’elettorato tedesco che, pur non sentendosi rappresentato dai partiti maggiori, preferisce un voto inutile all’astensione.
Le estreme
Buona parte dei piccoli partiti è composta da forze di estrema sinistra e di estrema destra, dove queste ultime rappresentano il numero maggiore – seppur non sempre in termini di peso elettorale. La galassia dell’estrema destra tedesca è variegata e tristemente nota. Un ruolo di primo piano è certamente svolto dall’NPD (Nationaldemokratische Partei Deutschlands), partito neonazista fondato negli anni Sessanta e che ottenne un sorprendente 4,3% nelle elezioni del 1969. Da allora l’NPD si è stabilmente assestato al di sotto del 2%, pur ricevendo spesso gli onori della cronaca per le frequenti manifestazioni nostalgiche e gli stretti legami con il neonazismo più violento. A gennaio di quest’anno la corte costituzionale federale si è espressa, per la seconda volta, in merito a un possibile scioglimento del partito, giudicando tuttavia come questa misura non fosse necessaria data appunto la sua “irrilevanza” politica. Accanto all’NPD possiamo poi ricordare i Republikaner, fondati negli anni Ottanta sul modello del Front National francese e che raggiunsero un significativo 7% alle elezioni europee del 1989. Come i loro predecessori, tuttavia, i Republikaner sono rapidamente calati attorno all’1%, subendo inoltre una significativa emorragia di consensi in favore del più recente e “presentabile” populismo di destra tedesco dell’AfD.
Esplicitamente neonazista è inoltre il movimento Die Rechte (la destra), il cui peso specifico – circa duemila voti nelle elezioni federali del 2013 – lo pone tuttavia come fanalino di coda del panorama politico tedesco. Più controverso è invece il partito Deutsche Mitte (centro tedesco), fondato nel 2013 e pertanto alla sua prima corsa elettorale. Il suo leader, Christoph Hörstel, è infatti noto per l’adesione a diverse teorie complottiste, a idee esoteriche e a posizioni anti-semite. La tesi sostenuta dal Deutsche Mitte vede nella “crisi dei profughi” del 2015 un piano – portato avanti dal governo federale, assieme a non meglio precisati “poteri occulti” – per distruggere la Germania e alimentare una guerra civile nel paese.
Dall’altro lato dello spettro politico, le forze di estrema sinistra rispondono alle classiche divisioni che hanno solcato il comunismo novecentesco, ovvero ai marxisti-leninisti del MLPD (Marxistisch-Leninistische Partei Deutschlands) e ai trotskisti del PSG (Partei für Soziale Gleichheit, sezione tedesca della IV internazionale), i quali tuttavia – con rispettivamente ventiquattromila e quattromila voti nelle elezioni del 2013 – sono ben lungi da rappresentare una seria alternativa alla Linke. In una posizioni più ambigua è infine da collocare il BüSo (Bürgerrechtsbewegung Solidarität), ispirato alle teorie dell’attivista statunitense Lyndon LaRouche e volto a una riorganizzazione complessiva della finanza globale, con una rivalutazione del ruolo dello Stato nell’economia nazionale e l’abbandono della moneta unica da parte della Germania.
Fondamentalisti, conservatori e spiritualisti
Un diverso estremismo caratterizza invece movimenti come il Partei Bibeltreuer Christen (partito dei cristiani fedeli alla Bibbia), nato nel 1989 e particolarmente vicino al fondamentalismo cristiano di marca evangelica. Nel suo programma figurano la restrizione al divorzio, la proibizione di pornografia e prostituzione (legale in alcuni Länder tedeschi), nonché l’obbligo di istruzione religiosa cristiana nelle scuole (l’“ora di religione” è invece stata abolita in Stati federali come Berlino). Ben diciottomila persone hanno votato per il Partei Bibeltreuer Christen nel 2013. Su posizioni per certi versi analoghe – seppur molto più moderate e meno condizionate da ragioni confessionali – troviamo poi il Familien-Partei Deutschlands (partito delle famiglie), con circa settemila elettori. Sul versante opposto, ovvero quello di uno spiritualismo tollerante e non necessariamente cristiano, troviamo infine Die Violetten, un piccolo partito che sostiene tematiche ecologiste, pratiche di democrazia diretta e la legalizzazione delle droghe – nei cui ottomila elettori figurano probabilmente molti aderenti a religioni orientali e filosofie alternative.
Infine, alle elezioni di settembre non parteciperà alcun movimento dichiaratamente islamico, e neppure il Bündnis für Innovation und Gerechtigkeit – vicino all’AKP del premier turco Erdogan – che, nel 2013, aveva raccolto diciassettemila consensi.
Liberali, libertari e “liberatori”
Una vasta galassia dei partiti minori è poi rappresentata da forze a vario titolo vicine a posizioni liberali. Tra queste dobbiamo certamente ricordare i Freie Wähler (liberi elettori), che nel 2013 ottennero quasi mezzo milione di voti, e appartengono all’area politica conservatrice pur sostenendo una maggiore democrazia diretta. Le medesime istanze sono portate avanti anche dal Volksabstimmung, un movimento forte di circa ventottomila elettori che sostiene le pratiche referendarie (da cui appunto prende il nome) e l’abbandono della moneta unica. Di stampo più marcatamente libertario è invece il Partei der Vernunft (partito della ragione), anch’esso forte di oltre ventimila voti nelle consultazioni del 2013, che perora la causa di uno Stato “minimo”, della riduzione del welfare, della decentralizzazione dei poteri e di pratiche di democrazia diretta.
Il più importante tra i partiti minori è inoltre il Piratenpartei (partito pirata) il quale, pur avendo ottenuto quasi un milione di voti nel 2013, sta tuttavia conoscendo una parabola discendente dalla sua nascita nel 2006. Al centro del programma del Piratenpartei sta la liberalizzazione di internet, accompagnata da istanze liberali in campo economico e motivi ecologisti. Nonostante il Piratenpartei possa essere collocato nella sinistra dello spetto politico, l’eterogeneità dei suoi membri e la vaghezza dei programmi ha suscitato più di un sospetto su eventuali simpatie verso l’estrema destra, e non è affatto un caso che molti elettori abbiano abbandonato il partito pirata in favore dell’AfD.
Da ultimo, anche la Germania ha il suo partito separatista. Il BP (Bayernpartei, partito bavarese), spiccatamente conservatore, e sostenitore dell’indipendenza della Baviera – oppure, in termini più realistici, di una maggiore autonomia degli Stati federali rispetto a Berlino. Tuttavia, con appena cinquantamila elettori, il BP è soltanto una versione in miniatura della CSU di Horst Seehofer.
Partiti monotematici e “Il Partito”
A margine del panorama politico tedesco si trovano poi alcuni partiti monotematici, come il Bündnis Grundeinkommen, fondato per favorire l’introduzione del reddito di cittadinanza e alla sua prima partecipazione alle elezioni federali. Da segnalare è inoltre l’esistenza di un partito femminista, Die Frauen, e di due piccoli partiti ecologisti, l’ÖDP (Ökologisch-Demokratische Partei, partito ecologista-democratico) e il Tierschutzpartei (partito per la difesa degli animali), collocabili rispettivamente a destra e a sinistra dei Grüne, e forti ambedue di oltre centomila elettori.
Un’ultima curiosità nelle elezioni federali è infine rappresentata dal Die Partei (Partei für Arbeit, Rechtsstaat, Tierschutz, Elitenförderung und basisdemokratische Initiative, ovvero partito per il lavoro, lo Stato di diritto, la difesa degli animali, la promozione delle élite e le iniziative di democrazia di base), fondato nel 2004 da un redattore del periodico satirico Titanic. Contrariamente a quanto avvenuto in Italia, il comico in questione non ha però abbandonato l’umorismo in favore della politica, ma ha piuttosto portato la satira in quest’ultima. Il Die Partei, regolarmente iscritto alle liste elettorali, è infatti la parodia di un partito politico, con un programma inverosimile (introduzione delle “quote pigri”, oppure di un “calmiere” per il prezzo della birra) e una campagna caratterizzata da slogan ironici o assurdi, spesso volti a deridere il populismo di destra (come l’intenzione di “costruire un muro”, qualsiasi). Oltre ad aggiungere una nota di colore nel quadro partitico tedesco, i settantottomila elettori che, nel 2013, si sono presi la briga di andare alle urne e votare il Die Partei dimostrano come l’anti-politica non debba necessariamente risolversi in uno sfogo di rabbia.
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