
Fronte comune di Russia e Cina contro gli Stati Uniti di Donald Trump sull’ennesima crisi nordcoreana dopo il lancio, ieri, del primo missile balistico intercontinentale (Icbm) in grado di raggiungere l’America. Prima l’ambasciatore Usa al Palazzo di vetro, Nikki Haley, ha chiarito che Washington considera “allarmante” “l’escalation militare” della Corea del Nord ed ha sottolineato come gli Usa siano “pronti ad usare ogni mezzo” per fronteggiare la minaccia della Corea del Nord, e che la risposta militare resta “un’opzione”.
Immediata la reazione all’unisono dei delegati di Russia e Cina, potenze entrambe con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza. Prima il vice ambasciatore russo, Vladimir Safronkov, ha chiarito ai Quindici: “Tutti dobbiamo ammettere che la sanzioni non risolveranno il problema” e se continuassimo su questa strada “andremo incontro allo stallo”. Non solo. Per Safronkov “qualsiasi tentativo di giustificare un’azione militare” contro Pyongyang “è inammissibile”. Poi l’omologo cinese Liu Jieyi, ha sottolineato che un’azione militare “non rappresenta un’opzione” per affrontare la crisi con la Corea del Nord. “La Cina si è sempre opposta fermamente al caos e al conflitto sulla penisola coreana. E a questo riguardo l’uso di mezzi militari non debbono essere un’opzione”, ha sancito il diplomatico di Pechino. Russia e Cina hanno quindi ribadito la proposta di una mediazione che veda Pyongyang sospendere i suoi test nucleari e missilistici ed in cambio Usa e Corea del Sud porre fine alle manovre militari nell’area. Così da creare un clima “per un dialogo senza condizioni e per lavorare insieme per ridure la tensione”, ha dichiarato il cinese Liu. Per Trump si tratta di un ennesimo smacco alla sua strategia fallimentare di fare pressione su Pechino, offrendo di sospendere le accuse sulla manipolazione della valuta o sull’eccesso di surplus commerciale, per ottenere in cambio che Pechino rompa con Pyongyang e metta alle strette il dittatore Kim Jong-un.
La posizione dell’Italia, membro non permanente del Consiglio di sicurezza: “pronti a lavorare su misure restrittive”
“L’Italia è pronta a lavorare con tutte le rilevanti parti interessate su addizionali e significative misure restrittive” contro la Corea del Nord, ha sottolineato l’ambasciatore italiano all’Onu, Sebastiano Cardi, nel suo intervento alla riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza, convocata dopo l’ultimo test di Pyongyang che ha lanciato verso il Giappone un missile intercontinentale. Cardi, esprimendo la “forte condanna” dell’Italia per quest’ultimo test che mina la sicurezza internazionale, ha sottolineato l’esigenza di un impegno “multilaterale” affinché “resti alta la pressione della comunità internazionale sul regime della Corea del Nord”.
L’amaro commento del New York Times, critico con Donald Trump
Malgrado le spavalde e minacciose dichiarazioni del presidente Donald Trump, gli “Stati Uniti non hanno a disposizione alcuna soluzione militare concreta per distruggere ” il programma nucleare e missilistico nordcoreano. “Ogni tentativo di farlo provocherebbe un brutale rappresaglia contro la Corea del Sud, troppo sanguinosa per rischiare”. Questa l’analisi cui giunge il New York Times all’indomani del primo lancio di un missile balistico intercontinentale (Icbm) da parte di Pyongyang, in grado di colpire gli Usa, a partire dall’Alaska. Nel corso degli anni il Pentagono ha messo a punto diversi piani di guerra per neutralizzare la minaccia nordcoreana (nel 1994, quando Pyongyang non aveva ancora l’atomica, si arrivò a preparare un bombardamento ‘chirurgico’ del reattore di Yongbyon, ma non se ne fece nulla) ma tutti prevedono un’insopportabile per l’opinione pubblica mondiale, risposta letale della Corea del Nord. E basterebbe una maxi rappresaglia con armi convenzionali – cannoni e razzi – non con missili, gas o armi batteriologiche di cui il Nord peraltro dispone. Pyongyang ha infatti schierato nel corso di 64 anni dalla fine del conflitto lungo la “linea demilitarizzata” (la sorta di confine che segna lungo il 38esimo parallelo il punto in cui si interruppero i combattimenti nel 1953 alla firma del semplice armistizio, non una pace, tra nord e sud) circa 8.000 pezzi di artiglieria (Koksan da 170 mm con gittata fino a 60 km) e 1.000 batterie di missili superficie-superficie da 240 e 300 mm in grado di colpire obiettivi oltre la capitale, Seul. Ed è in proprio nella geografia del Sud il maggior pericolo di cui Washington e Seul debbono tenere conto: la metà della popolazione sudcoreana – inclusi i 10 milioni di abitanti di Seul – vive entro 80 km da dove sono installate le batterie di artiglieria e di missili di Pyongyang. Secondo una simulazione pubblicata dal ‘Nautilus Insitute for Security ad Sustainability’ solo nelle prime 24 ore di conflitto i colpi di artiglieria nordcoreani ucciderebbero 60.000 persone, se si concentrassero solo su obiettivi militari, cifra che salirebbe a 300.000 se anche i civili finissero nel mirino. Un prezzo insopportabile anche se progressivamente gli Usa riuscissero a neutralizzare le batterie di Pyongyang.
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