
Solo pochi mesi fa, eravamo ad aprile, il gioco di società più diffuso nelle segreterie dei partiti e nelle redazioni di giornali e telegiornali italiane, era l’individuazione di chi fosse l’Emmanuel Macron del Bel paese. Dopo aver battuto la Le Pen alle presidenziali, con un numero di votanti però inferiore al 50%, e soprattutto dopo la sonante vittoria alle legislative di maggio del movimento il cui nome coincide con le sue iniziali, En Marche, nell’opinione pubblica italiana era un continuo esaltare l’uomo nuovo della politica francese, ed europea. Importanti, affermati e autorevoli editorialisti erano stati messi al servizio di questa gigantesca costruzione mediatica che ruotava sulle presunte qualità intellettuali e politiche del nuovo inquilino dell’Eliseo. Prima delle elezioni legislative aveva definito un governo di grande coalizione, o unità nazionale, alla francese, con transfughi di quella e dell’altra parte, dai socialisti sconfitti ai sarkozisti, ai moderati di Bayrou, che venne segnalato come modello di riferimento per altri paesi, a partire dall’Italia, ed En Marche venne addirittura paragonato all’idea renziana del Partito della nazione, sempre dai nostri entusiasti editorialisti, alla cui testa si era portato Eugenio Scalfari, primo e tenace estimatore dell’europeista Macron, che sognavano il medesimo destino anche per l’Italia, incarnato dal Renzi, sia pure battuto nel referendum costituzionale.
La nuova strategia dell’Eliseo si adatta al mutato quadro delle potenze mondiali
Poi il bell’Emmanuel, e bravo presidente francese, vinse le elezioni legislative conquistando la maggioranza assoluta dell’Assemblea nazionale. E da quel momento le cose cambiarono, per la Francia, l’Europa, e anche per i nostri editorialisti. Le prime mosse? Stringere il rapporto privilegiato con Berlino e assumere il ruolo del mediatore fondamentale nelle relazioni diplomatiche con Washington, puntando esplicitamente ad un ritorno della grandeur francese, che così avrebbe reagito ai mutamenti impressi negli equilibri mondiali da Trump. Poco meno di un mese fa, al G7 di Taormina, e soprattutto al G20 di Amburgo quindici giorni dopo, Macron scelse proprio il ruolo di grande mediatore tra Berlino e Washington a proposito della dichiarazione sul clima, terreno di scontro, insieme coi vincoli al commercio internazionale, imposto dal nuovo presidente americano che non vuole ratificare l’accordo di Parigi Cop21. E pochi giorni fa, il 14 luglio, ha festeggiato con Trump l’anniversario della Rivoluzione francese. In realtà, sembrava un controsenso, Trump che festeggiava la Presa della Bastiglia, ma non lo fu, stando a quanto riferì la stampa francese indipendente. Anzi. Secondo queste fonti, Macron aveva confermato a Trump la volontà della Francia di far parte con Stati Uniti, Russia (non si dimentichi il lunghissimo colloquio amburghese tra Putin e Trump) e Germania, del quartetto che ha intenzione di governare il mondo, sia a livello planetario che a livello regionale, con una precisa spartizione geopolitica. Così, Macron ha dettato a Trump la nuova agenda delle zone d’influenza: l’Europa centro-settentrionale alla Germania, Medio ed Estremo Oriente contesi a tenaglia da Mosca e Washington, Africa mediterranea e subsahariana alla Francia (lasciando alla Cina l’Africa centrale).
Italia ed Europa le due cenerentole
Le cenerentole? L’Europa unita, anzi sempre più divisa, e l’Italia, nonostante le ambizioni avanzate prima da Renzi e poi da Gentiloni (il nostro ministro degli Esteri, Alfano, conta come il due di picche nei consessi internazionali). Da questa nuova situazione geopolitica nasce dunque anche il nuovo movimentismo diplomatico di Macron: Parigi ospiterà martedì un incontro tra il generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico, e il premier del governo di accordo nazionale, Fayez al-Sarraj: la notizia, già anticipata dal quotidiano panarabo Asharq Al-Awsat, è stata confermata dal settimanale francese Le Journal du Dimanche. Ai colloqui, che si terranno sotto l’egida del presidente francese Emmanuel Macron, dovrebbe partecipare anche il nuovo inviato dell’Onu per la Siria, Ghassam Salamé, che stando al settimanale ha confermato la data dell’incontro.
Romano Prodi sul Messaggero: “pericoloso indebolimento del nostro ruolo nella strategia europea”
Data questa lunga premessa, vanno segnalati i due editoriali di oggi, su Repubblica e Messaggero, di Eugenio Scalfari e Romano Prodi, che affrontano proprio le enormi novità rappresentate dal presidente francese nello scacchiere internazionale. Entrambi puntano a difendere gli interessi nazionali italiani, in un modo o nell’altro. Tralascio al lettore l’editoriale di Scalfari, che mette insieme troppe cose per essere sintetizzato qui. Mi soffermo invece sulle parole di Romani Prodi, che pur senza citarlo, critica l’ignavia del governo italiano, la sua debolezza internazionale, segnalando appunto il movimentismo diplomatico di Macron. Il professore scrive: “ci aspettavamo e auspicavamo che la Francia contribuisse a riequilibrare la politica europea troppo spostata in favore della Germania ma è certo doveroso notare come questo stia avvenendo con un processo di esclusiva riassicurazione degli interessi nazionali e, ancora di più, con una particolare emarginazione di quelli italiani”. Perché la Francia non dovrebbe riassicurare sugli interessi nazionali francesi? Non fa questo Merkel? E non hanno tentato questo Renzi e Gentiloni? Perché Macron non dovrebbe emarginare gli interessi italiani? Il professor Prodi sa bene che questa situazione internazionale dipende solo dai nostri governi, e, sia pure in modo ermetico, lo scrive: “Credo invece che anche i nostri cittadini abbiano diritto ad una riassicurazione rispetto al pericoloso indebolimento del nostro ruolo nella strategia europea. Il che esige da parte nostra una politica di quotidiana difesa dei nostri interessi in ambito europeo”. Il pericoloso indebolimento internazionale italiano di cui parla Prodi ha colpevoli ben precisi: 3 anni di governo Renzi e otto mesi di governo Gentiloni, in entrambi i quali figura Angelino Alfano, prima come titolare degli Interni, e dopo degli Esteri. Il titolare della Farnesina ha nulla da replicare a Prodi? Perché la verità è che il fumoso giudizio sul cosiddetto “bonapartismo” di Macron nasce da qui, dalla insipienza della politica estera italiana, dalla sua incapacità di definire i nuovi assetti planetari, e soprattutto dalle ambiguità manifestate da Alfano su Trump. La verità è che un’Italia forte nel mondo e in Europa meriterebbe un governo diverso e un altro ministro degli Esteri. Prodi non lo dichiara esplicitamente nell’articolo sul Messaggero, ma è probabile che lo pensi.
Il sondaggio del Journal du Dimanche: cala del 10% in due mesi la popolarità del Macron “bonapartista”
A minare la sensazione del “nuovo Bonaparte” francese è anche un sondaggio pubblicato dal Journal du Dimanche, il settimanale domenicale, secondo il quale crolla la popolarità del presidente della Repubblica eletto a maggio, meno 10 punti in un mese, dal 64 al 54. Le sue ambizioni internazionali – dal rilancio dell’asse con Angela Merkel ai flirt con Vladimir Putin a Versailles e Donald Trump alla parata del 14 luglio, passando per la mediazione libica – non sembrano interessare più di tanto i suoi connazionali, decisamente più preoccupati dal fronte interno. Secondo Le Figaro, la crisi e’ iniziata alla vigilia del 14 luglio, giorno in cui Macron ha rifiutato per la prima volta da anni di essere intervistato in diretta tv come i suoi predecessori, perché – ha sostenuto – la semplificazione televisiva lo avrebbe penalizzato. Ai militari che criticavano i tagli di bilancio, Macron ha detto: “Je suis votre chef”, sono il vostro capo, provocando le dimissioni del capo di Stato maggiore Pierre de Villiers. Il generale è stato applaudito a lungo dai suoi prima di lasciare un’istituzione che in Francia viene da sempre chiamata ‘La Grande Muette’, la grande muta, in quanto storicamente non prende mai posizione e soprattutto non critica. Inoltre, l’autunno si annuncia molto caldo per il giovane presidente. È in calendario la riforma del mercato del lavoro, con il rischio di duri scioperi, oltre a tagli nel budget 2018. In tre mesi, Macron ha perso l’8% in popolarità. Quando è stato eletto a maggio il consenso era al 62%, per poi crescere al 64% il mese successivo. Tra i suoi predecessori solo Jacques Chirac ha fatto peggio nel 1995, secondo il Jdd. Anche il primo ministro Edouard Philippe registra un calo di popolarità, passando nello stesso periodo dal 64%, sempre altissima, al 56%.
Il partito di Macron si struttura a livello territoriale
Nel frattempo, Macron struttura il suo partito, En Marche, ancora praticamente in fasce e privo di legittimazione democratica interna. Una bozza di statuto sarà sottoposta al voto dei 373.000 iscritti entro il 9 aprile, il prossimo 1 agosto. Viene proposta una formazione politica molto decentralizzata, fondata sui 3200 comitati locali, che godranno di autonomia di funzionamento. Si pensa alla istituzione di una “rete di facilitatori locali” nelle aree più depresse, e a “officine delle idee” per la promozione delle iniziative sul territorio. L’adesione al partito è gratuita, e si precisa che esso sarà “un movimento politico repubblicano, progressista, laico, europeo, con l’obiettivo di portare un nuovo segno di riflessione e di azione nella vita politica francese”. Dopo l’approvazione dello Statuto, En Marche eleggerà una direzione che sostituirà l’attuale presidenza ad interim, guidata da Catherine Barbaroux.
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