
Una volta di più, i sondaggi hanno sbagliato. E una volta di più, a vincere a sinistra sono le posizioni più radicali. Le primarie celebrate domenica hanno consegnato la guida del Partido socialista obrero espanol (Psoe) a Pedro Sanchez, l’ex segretario dimessosi a ottobre rimproverando i vertici di posizioni eccessivamente accondiscendenti nei confronti del governo conservatore di Mariano Rajoy. Un risultato bruciante per la governatrice dell’Andalusia Susana Diaz, candidata di punta “dell’establishment” socialista e grande favorita dai pronostici. “Pedro Sanchez travolge Susana Diaz”, scrive “El Mundo”; “Sanchez guiderà il Psoe”, fa eco “la Vanguardia” e “i militanti restituiscono a Sanchez i resti del Psoe”, titola “Abc” rimandando alle ferite create dal dibattito interno. Più didascalico il quotidiano progressista “El Pais”, grande avversario del nuovo segretario nel corso della campagna: “Sanchez vince le primarie con il 50 per cento dei voti e torna ad essere il leader del Psoe”, scrive la testata in un pezzo che lascia in fretta le posizioni di punta della propria pagina web.
Poco meno di 190 mila i votanti iscritti al processo delle primarie, e oltre 15 mila i voti di scarto tra i due principali contendenti. Un risultato di rilievo considerato che Diaz aveva con sè il grosso della storia socialista, da Felipe Gonzalez a Josè Luis Rodiguez Zapatero. Al neo segretario – che ha vinto in quasi tutte le comunità autonome e in Andalusia, “regno” della sfidante, ha ottenuto un pregevole 31 per cento – si rimprovera la strizzata d’occhio al movimento antisistema di Podemos, accentuata in campagna elettorale. Torna ora d’attualità lo slogan che volente o nolente lo ha accompagnato negli ultimi mesi: “no è no”, aveva detto Sanchez rivendicando l’impegno preso in campagna elettorale di non appoggiare la nascita del secondo governo Rajoy. Il partito decise di astenersi al voto di investitura e Sanchez rimise il mandato iniziando a ritagliarsi quel ruolo intransigente nei confronti dei conservatori che pare averlo premiato ieri. I “baroni” del Psoe avevano sempre risposto che la nascita del governo popolare, dopo due elezioni finite in parità, era conseguenza necessaria della mancata vittoria del Psoe alle urne. “Il ritorno alla segreteria generale di uno con un trascorso così segnato dalle sconfitte elettorali, le divisioni interne e gli andirivieni ideologici non può che provocare una profonda preoccupazione”, scrive El Pais.
Solleticando un universo di esperienze, “dal Brexit al referendum colombiano o alla vittoria di Trump”, la vittoria di Sanchez non si dimostra “estranea al contesto politico di crisi della democrazia rappresentativa, nella quale si impongono con estrema facilità la demagogia, le mezze o false verità e le promesse impossibili da rispettare”. Alla fine, recita l’editoriale di El Pais, molto cattivo, “anche la Spagna ha avuto il suo momento populista”. La base del partito ha sconfessato in pieno i vertici, sottolinea invece “El Mundo” segnalando la necessità del nuovo segretario di ricompattare le fila ma avvertendo del rischio di instabilità che può discendere da un Psoe con lo sguardo più a sinistra: il Psoe “non può dimenticare il passato recente come il partito che ha governato per più anni durante la democrazia diventando uno dei pilastri della stabilità politica di cui abbiamo sin qui goduto”. L’attenzione va ora alla mozione di sfiducia al governo che ha depositato Podemos lo scorso fine settimana. Alla vigila delle primarie Sanchez non aveva escluso di presentarne una a nome del “suo” Psoe, e il risultato, scrive “Abc” sarà comunque quello di un indebolimento dell’esecutivo: l’unica certezza è che “il Partito popolare non otterrà dal Psoe la pur minima copertura per garantire una legislatura di quattro anni e la stabilità economica che richiede l’Europa”.
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