Berlusconi cerca di condizionare la legge elettorale, svelando la vera posta in gioco nel Congresso Pd. Il lasciapassare alle larghe intese. Renzi conquista 68% dei voti, Orlando al 25 e Emiliano al 6

Berlusconi cerca di condizionare la legge elettorale, svelando la vera posta in gioco nel Congresso Pd. Il lasciapassare alle larghe intese. Renzi conquista 68% dei voti, Orlando al 25 e Emiliano al 6

Che Silvio Berlusconi nel corso dei suoi 25 anni passati a far politica nei palazzi avesse maturato un’intelligenza tattica da fare invidia ai più grandi scacchisti lo si sapeva. È lui che in questi giorni, con interviste rilasciate su qualunque quotidiano – dal Corriere della sera al Giornale alla Verità e infine al Mattino – ribadisce che il vero terreno di scontro politico non è tanto il merito del governo Gentiloni, e del valore dei suoi ministri, perché a quello ci pensano i suoi capigruppo Brunetta e Romani, ma la legge elettorale, per la quale ormai conta solo la sua parola. E lo fa anche nel tentativo di bloccare sul nascere la disponibilità, fallita, di qualche suo presunto alleato, come la Lega di Salvini, che pur di accelerare il voto avrebbe votato qualunque sistema elettorale. In questo senso, Berlusconi ha mostrato una intelligenza politica da consumato attore della prima Repubblica, decisamente superiore a quella di tanti suoi adepti ed alleati, vecchi e nuovi. Prima ha stoppato Salvini, poi ha bruciato l’ex candidato di Forza Italia alle amministrative di Milano, Stefano Parisi, poi è andato alla riunione dei vertici del Ppe a Malta per farsi dare la consacrazione di leader dei moderati italiani da Angela Merkel. Infine, tende tatticamente la mano a Gentiloni perché duri fino al 2018, dal momento che egli è certo che la Corte di Giustizia europea gli riconoscerà entro quest’anno la possibilità di essere rieletto in Parlamento, dati i limiti della legge Severino.

Berlusconi e il pericolo di una vittoria netta e irreparabile dei 5Stelle. L’unica alternativa la grande coalizione alla tedesca

Ora, Berlusconi converge tatticamente le attenzioni sue e dell’opinione pubblica sulla pericolosità del movimento grillino, giudicato alla stessa stregua dei movimenti populisti antieuropei, e annuncia che quello è il nemico da battere, anche se si dovesse giungere alla formazione di una grande coalizione alla tedesca. Ed ecco che diventa strategica la battaglia per una legge elettorale che non consenta a nessuna forza politica di vincere. Così, dalle colonne del Mattino, Berlusconi rilancia la sua personale sfida al Pd  a Matteo Renzi: “Forza Italia ha già depositato in Parlamento la sua proposta di legge elettorale. Purtroppo il Pd attualmente dispone della maggioranza in entrambe le Camere e quindi sta a loro fare una proposta accettabile sulla quale siamo pronti a confrontarci e a collaborare. Siamo alternativi al PD sui contenuti dell’azione di governo, ma sulle regole è giusto lavorare insieme se se ne presentano le condizioni”. Ma il primo passo è quello di bocciare, senza se e senza ma, il Mattarellum: “Certo, se viene riproposto il Mattarellum, come hanno fatto nei giorni scorsi i rappresentanti del PD in Commissione alla Camera, il dialogo viene meno, visto che abbiamo già diffusamente spiegato perché quel metodo sia del tutto inaccettabile”. Berlusconi, da vecchio e astuto marpione della politica nazionale, avrebbe dettato questa linea se non avesse avuto qualche minimo cenno d’intesa dall’interno del Pd, e in particolare da Renzi? In fondo, i sondaggi dimostrano ampiamente la plausibilità dei timori espressi da Berlusconi, di una vittoria dei 5Stelle.

Andrea Orlando nutre molti sospetti sul disegno strategico renziano. E Maria Elena Boschi elegantemente conferma i timori

La questione della legge elettorale entra perciò nel vivo del dibattito congressuale e lo condiziona. Le mozioni se le stanno suonando proprio sui diversi sistemi. Andrea Orlando nutre molti sospetti sulla reale volontà del Pd di pervenire all’approvazione del Mattarellum, ad esempio. E molti sospetti condivide con Emiliano, che una volta eletto segretario, Renzi possa pervenire al cosiddetto Legalicum, ovvero all’Italicum uscito dalla revisione della Consulta, e allargato al Senato, con premio di governabilità alla lista e i capilista bloccati. Intervistato da Lucia Annunziata su In mezzora a RaiTre, lo stesso Orlando rende pubblico il sospetto: “Evitiamo in tutti casi di andare a votare con questa, che ci porterebbe a votare di nuovo dopo sei mesi o alle larghe intese. Ed entrambe sarebbero un disastro”. Larghe intese è il concetto chiave per aprire il vero dibattito interno nel Pd, al di là dei numeri congressuali. Sempre in televisione, ma intervistata da Maria Latella, l’ex ministra delle riforme renziane, e attuale sottosegretaria alla presidenza del governo Gentiloni, ovvero Maria Elena Boschi, con eleganza conferma i sospetti: “Siamo d’accordo con la proposta del M5S di dare un premio di maggioranza alla lista. L’Italicum del resto lo prevedeva. Ma io sono comunque preoccupata perché credo sia molto difficile arrivare a un accordo sulla legge elettorale”. È intuitivo il senso di questa frase. Tra l’altro, domenica si era anche diffusa la voce che tra la Boschi e Renzi fosse intervenuto un patto per imporre a Gentiloni un “decreto tecnico” sulla legge elettorale, in modo da sbloccare l’apparente impasse parlamentare. Ovviamente la Boschi ha sdegnosamente smentito la notizia, ma ha anche sostanzialmente confermato che il Mattarellum era solo un modo per prendere altro tempo. Che i fatti siano così, lo conferma anche il ministro Maurizio Martina, numero due della mozione renziana. Sulla legge elettorale Martina dice che occorre “fare tutto il possibile per introdurre correttivi maggioritari”, per “evitare l’ingovernabilità e un sistema iper-proporzionale che esalta il potere di veto dei piccoli. Ci si deve ispirare all’Italicum o al Mattarellum, e per noi il Mattarellum è la prima scelta”. La novità di questa dichiarazione? Il fatto che Martina parli esplicitamente di iper-proporzionale, preparando la strada ad un’ipotesi di sbarramento alto, alla tedesca, che impedisca la formazione di partitini, e con ciò muovendo fin da ora verso la strategia del “voto utile”. Martina, a differenza di Orlando, non promette di evitare grandi coalizioni, ed è su questo snodo politico che si gioca il risultato congressuale del Pd, e dei suoi rapporti soprattutto con le altre formazioni alla sua sinistra.

Vannino Chiti, esperto in materia di leggi elettorali, scopre il gioco renziano e lo denuncia. Ecco la vera natura del congresso Pd

Non a caso, è Vannino Chiti, altro abilissimo politico di lunga lena, e sostenitore della mozione Orlando, che denuncia i sospetti sulla mozione Renzi. “Dalle ripetute e autorevoli dichiarazioni dei sostenitori della mozione Renzi – ieri Richetti, oggi Martina – appare chiaro che per la legge elettorale si intende mettere sullo stesso piano Mattarellum e Italicum. Il che ha un significato chiaro, visti i numeri in Parlamento: estensione dell’Italicum anche al Senato”, afferma Vannino Chiti. “Cioè non collegi uninominali, scelta da parte dei cittadini dei loro rappresentanti, premio di governabilità, ma estensione dei capilista bloccati, obbligo di un governo con la destra o impossibilità di formare governi. Con altrettanta chiarezza sarà bene sapere che questa strada porterebbe ad una nuova e più profonda rottura nel Pd. Si rammenti l’immagine di una fessura minima ma ormai apertasi nella diga-partito: quella fessura non è chiusa”. Tutti gli indizi, perciò, convergono sullo stesso punto: Berlusconi e Renzi remano verso uno stesso approdo, quello delle larghe intese, per mettere fuori gioco pentastellati e sinistra. Il congresso del Pd che oggi termina la sua fase tra gli iscritti, le primarie del 30 aprile aperte a tutti, incoroneranno nuovamente Matteo Renzi leader, e a quel punto tutti i nodi verranno al pettine.

Il Nazareno comunica alcuni dati “ufficiali”, per fermare l’emorragia di dati provenienti da ciascuna delle tre mozioni: Renzi al 68,22%, Orlando al 25,42% ed Emiliano al 6,36%

E a proposito di numeri e cifre relative al congresso dei circoli del Pd, una nota giunta nella tardissima serata di domenica dal Nazareno cerca di dare margini di ufficialità ad alcuni dati, dal momento che per tutto il giorno si sono inseguiti per tutto il giorno comunicati da ciascuna delle mozione. I risultati in proiezione: “con i dati raccolti dall’organizzazione del Partito che coprono circa 4mila circoli – recita la nota del Nazareno – le tre mozioni hanno ottenuto: Matteo Renzi 68,22% (141.245 voti) – Andrea Orlando 25,42% (52.630 voti) – Michele Emiliano 6,36% (13.168), per una somma totale di voti validi pari a 207.043”. Contro questi dati, tuttavia, polemizza la mozione di Andrea Orlando:  “I dati diffusi dall’organizzazione del Partito Democratico non sono convincenti. Sulla base dei dati ufficiosi in possesso del Comitato Orlando, i numeri relativi all’affluenza nelle convenzioni di circolo e al consenso ottenuto dai candidati, sono diversi”, si legge in una nota della mozione Orlando, che precisa: “l’affluenza ai congressi presumibilmente si aggirerà intorno a 200.00 votanti. Orlando al momento ha un consenso intorno al 29,6%, Renzi intorno al 62,4% ed Emiliano all’8%”. “Siamo stupiti che, a scrutinio ancora aperto di molti circoli e con dati ancora incerti, l’organizzazione del Pd abbia fornito questi risultati”, conclude la nota

Parola fine, l’organizzazione dem, prova anche a metterla sull’affluenza, altro terreno di scontro tra i tre aspiranti candidati alle primarie. “L’affluenza al voto degli iscritti al partito per i congressi scrutinati – annuncia il Pd – è del 58,1%, che propone una proiezione finale di votanti compresa tra 235mila e 255mila”. Molto al di sotto delle primarie del 2013.

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