Crisi di governo. Renzi sale al Colle e si dimette. Mattarella, infastidito dall’ex premier, darà inizio alle Consultazioni giovedì. Tensioni anche tra i 5Stelle

Crisi di governo. Renzi sale al Colle e si dimette. Mattarella, infastidito dall’ex premier, darà inizio alle Consultazioni giovedì. Tensioni anche tra i 5Stelle

Si è aperta ufficialmente la crisi di governo, ma la partita tra Renzi e Mattarella non è ancora chiusa. Dopo giorni segnati da colpi di scena, passi in avanti e altrettanti passi indietro, il premier ha rimesso il mandato nelle mani del capo dello Stato, ma quello che emerge è che il nome di Matteo Renzi non è ancora fuori dai giochi. Il presidente della Repubblica, si legge nel comunicato del Quirinale “si è riservato di decidere e ha invitato il Governo a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti”. Insomma da quel “si riserva di decidere” si evince che, come da prassi, il capo dello Stato non chiude la porta a ogni possibilità sul futuro governo del Paese. Restano quindi aperte tutte le strade non solo con un possibile reincarico, o una supplenza istituzionale di Pietro Grasso, ma anche la possibilità di rinviare alle Camere lo stesso Renzi per una verifica della fiducia in Parlamento.

Cosa potrebbe nascondere la “riserva” di cui parla Mattarella

Mattarella resta quindi fedele alla sua convinzione iniziale: questo governo ha la maggioranza in Parlamento e può continuare a esercitare il suo mandato. Per l’inquilino del Colle quindi queste consultazioni serviranno per capire se si può proseguire su questa linea e tentare la riconferma o rimescolare le carte e affidare a un ‘traghettatore’ l’incarico di modificare la legge elettorale e semmai andare a nuove elezioni. Ovviamente spetterà a Renzi, nel caso in cui fosse richiamato al Quirinale, accettare o meno la strada tracciata da Mattarella, resta il fatto che al momento se non si può parlare di tensione, sicuramente si può attestare che i due continuano ad avere posizioni diverse e con forza tentano di mantenerle. Nella giornata di oggi infatti si erano fatte sempre più insistenti le voci su una pausa di riflessione del premier ormai dimissionario, pronto a formalizzare l’addio a palazzo Chigi venerdì mattina, pausa che poteva servire per valutare la proposta avanzata dal capo dello Stato di restare dopo un passaggio alle Camere. Ancora una volta Renzi però ha scombinato i piani e alle 19 è salito al Colle. Questo aveva fatto presagire un ‘no’ secco e deciso al reincarico, ma evidentemente non è stato così. Le dimissioni a questo punto possono considerarsi revocabili e la prova è proprio in quella frase, di prassi, “si è riservato di decidere”.

Il calendario delle consultazioni

Tutto si scioglierà quindi dopo tre giorni di colloqui che inizieranno domani alle 18 per concludersi sabato. Domani i primi a salire al Quirinale saranno il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, i presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso. Incontri istituzionali che precederanno i colloqui con le forze politiche e parlamentari che saranno accolte da venerdì. Sarà comunque sabato la giornata più calda quando saliranno al Colle la delegazione della Lega Nord, formata da Matteo Salvini, e i capigruppo Massimiliano Fedriga e Gian Marco Centinaio, Forza Italia, guidata da Silvio Berlusconi, il Movimento 5Stelle, e infine il Partito democratico. I grillini non dovrebbero essere accompagnati da Beppe Grillo che, al momento, fanno sapere fonti parlamentari, non avrebbe intenzione di partecipare. Anche la delegazione dem sarà orfana del suo segretario, lo stesso che oggi in direzione ha annunciato che la delegazione sarà composta da Lorenzo Guerini, Matteo Orfini e i due capigruppo, Ettore Rosato e Luigi Zanda. In questa giornata sarà fondamentale l’incontro con Berlusconi che ha già garantito a chiare lettere al capo dello Stato fiducia nelle sue decisioni e la “responsabilità” del suo partito in questo momento.

La tensione tra capo dello Stato e capo del governo

Durante il colloquio al Colle dunque, descritto ovviamente come disteso ma che non ha visto avvicinamenti tra posizioni certo non contigue, Renzi ha messo tutto nelle mani del Capo dello Stato chiedendo che se una riforma elettorale si deve fare, tutte le forze parlamentari si devono assumere la responsabilità. Il Pd, insomma, non intende restare con il proverbiale cerino in mano. Il Capo dello Stato chiederà dunque alle diverse forze politiche se intendono assumersi una responsabilità, avendo già chiarito che è impensabile andare a votare con due diverse leggi elettorali e che persistono problemi per le banche e per i conti pubblici del Paese. La via prioritaria per Mattarella è un reincarico a Renzi, a maggior ragione dopo la larga fiducia incassata oggi al Senato. Ma se questo non fosse possibile, l’ipotesi B è un esecutivo sostenuto dal Pd e guidato da una personalità indicata dagli stessi dem. Se queste due ipotesi venissero bocciate dal Pd, si apre la possibilità di un governo istituzionale, una sorta di governo del presidente che abbia vita breve e porti al voto. Magari passando per un incarico esplorativo. Estrema ratio, che vede però in primis i sospetti di parte del Pd, sarebbe una prosecuzione dell’attuale esecutivo fino alle elezioni anticipate ma da indire dopo il 24 gennaio, dopo cioè la sentenza della Consulta sull’Italicum. Tutto insomma è ancora aperto, e dunque potrebbe servire anche un ulteriore giro di consultazioni per superare le eventuali chiusure che potrebbero venire dai partiti nel primo giro, anche perché il capo dello Stato, dotato di grande pazienza, conosce i sentieri tortuosi della politica e sa che non sempre le forze politiche ripetono nel chiuso dello studio alla vetrata le stesse posizioni annunciate con clamore in pubblico. Soprattutto davanti a due paletti posti con forza dal Presidente: la riforma della legge elettorale e l’interesse supremo del Paese.

La Direzione del Pd che ha preceduto la salita al Colle: un discorso renziano “antipolitico”

Prima di salire al Colle, Renzi aveva parlato ai membri della Direzione Pd, in streaming. La tanto attesa Direzione avrebbe dovuto aprire il dibattito nel Pd sulla sconfitta, sulle dimissioni del premier, sulla crisi politica, sullo scioglimento dei nodi politici più intricati. Così, di solito, fa una grande forza politica, e il Pd resta il partito con la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato. Invece, non solo la Direzione ha avuto inizio con circa un’ora di ritardo, ma ha dovuto accontentarsi, come gli italiani che erano in visione o all’ascolto, di una ventina di minuti di sproloqui renziani. “Propongo una linea politica a questo partito: noi non abbiamo paura di niente e di nessuno. Pertanto se le altre forze politiche vogliono andare a votare, subito dopo la sentenza della Corte Costituzionale, lo dicano chiaramente, perché qui si tratta di assumerci tutti le responsabilità. Il Partito democratico non ha paura della democrazia, non ha paura dei voti”. Un discorso che insegue Grillo e Salvini sul loro stesso piano della provocazione, senza alcun rispetto per le procedure democratiche e istituzionali, senza alcun rispetto per i problemi veri di coloro, e sono stati tanti, che domenica scorsa hanno voluto far sentire la loro voce, non può che essere etichettato come “antipolitico”. Ed ecco l’attacco frontale di Renzi: “Dall’altro lato, se invece vogliono un nuovo governo che affronti la legge elettorale, ma anche gli appuntamenti internazionali rilevanti che abbiamo, in questo 2017, il Pd è consapevole della propria responsabilità: non può essere il solo perché abbiamo già pagato il prezzo in un tempo non troppo lontano della solitudine della responsabilità e anche gli altri partiti devono caricarsi il peso. Perché sarebbe difficile appoggiare un governo di responsabilità nazionale veniamo dipinti sempre come “il quarto governo non votato dal popolo”, o “il quarto governo figlio di un Parlamento illegittimo”, il “governo figlio del trasformismo di Alfano e Verdini”.

L’assemblea dei gruppi parlamentari dei 5Stelle. Frattura tra Di Maio e Fico, ala movimentista?

Nel giorno in cui si apre la crisi dell’esecutivo Renzi, i Cinquestelle riuniscono tutti i deputati e i senatori per delineare la “road map” da seguire nei prossimi mesi. Al Colle per le consultazioni, hanno assicurato Carla Ruocco e Alessandro Di Battista al termine dell’assemblea fiume finita dopo le dieci e mezzo di sera, andranno i capigruppo del M5S. Sembra esclusa, per ora, la presenza di Beppe Grillo, salvo sorprese dell’ultimo minuto. Nell’assemblea, rigorosamente a porte chiuse, si dice ci siano state frizioni tra le due ali: quella più movimentista legata a Roberto Fico e l’altra identificata con le figure di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Ma i portavoce Cinquestelle smentiscono categoricamente. Fico assicura: “Siamo tutti d’accordo sulla linea da tenere”. E il capogruppo Luigi Gaetti parla di riunione “bellissima” in cui sono stati delineati diversi scenari per arrivare il prima possibile al voto. Il programma di governo è noto da tempo. In agenda ora ci sono soprattutto questioni più immediate come la legge elettorale e il voto anticipato e non da ultimo il candidato premier. “Abbiamo iniziato la discussione del programma di governo con l’energia, continueremo con gli altri temi, e in seguito sceglieremo online il candidato premier, la squadra di governo e i candidati al Parlamento”, scrive Beppe Grillo sul suo blog. Proprio oggi il Movimento ha depositato a Montecitorio una proposta di legge che estende i principi del sistema elettorale vigente per la Camera anche al Senato. “Chi propone altro – si legge – vuole imporre al Paese l’ennesimo governo non eletto che riproporrà le solite manovre lacrime e sangue per arrivare fino a settembre 2017 quando i parlamentari matureranno la pensione d’oro”. L’accusa fa riferimento ai vitalizi dei parlamentari, la cui scadeza è appunto in autunno. In questi giorni i parlamentari Cinquestelle sono impegnati a smontare l’idea che il M5S sia improvvisamente diventato favorevole all’Italicum dopo averlo criticato aspramente per mesi. E sull’ipotesi di larghe intese ventilata dal premier dimissionario, Ruocco chiude sostendendo che “la responsabilità è quella nei confronti dei cittadini che aspettano delle risposte: quindi un governo eletto dai cittadini”.

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