Renzi a Vicenza definisce la Consulta “burocrazia opprimente”. A Venezia si pente a metà, ma scatena l’inferno contro le Regioni. La macchina renziana della menzogna parte, e invade i media

Renzi a Vicenza definisce la Consulta “burocrazia opprimente”. A Venezia si pente a metà, ma scatena l’inferno contro le Regioni. La macchina renziana della menzogna parte, e invade i media

Scrivono le agenzie di stampa che dopo aver appreso la notizia della bocciatura da parte della Corte Costituzionale di alcuni articoli della legge Madia, liquidandone la sostanza politica, il premier Matteo Renzi non sia riuscito a mantenere l’aplomb, lo stile, che un presidente del Consiglio deve nei confronti di un organo costituzionale come la Consulta. E dal palco di Vicenza, dove svolgeva il suo solito comizio referendario, infarcito di accuse contro tutti coloro che non la pensano come lui, ha attaccato a testa bassa la Corte Costituzionale. Con parole che Antonio Gramsci avrebbe interpretato come un esempio di “sovversivismo dall’alto”.

“Siccome non c’è l’intesa con le regioni”, ha detto Renzi, “noi avevamo chiesto un parere, per la Corte costituzionale il decreto sulla Pubblica Amministrazione è illegittimo. E poi mi dicono che non devono cambiare le regole del Titolo V: siamo circondati da una burocrazia opprimente”. Più tardi, dal palco di Venezia, forse in virtù di qualche suggerimento di qualche suo consigliere, si pente a metà e apparentemente non spara più contro la Corte Costituzionale, ma contro il sistema che ha generato la sua sentenza favorevole alle ragioni del Veneto che aveva presentato l’esposto. Una “sentenza della Consulta ha bocciato una parte della riforma Madia. Volevamo licenziare i dirigenti che non si comportano bene e la regione Veneto ha fatto ricorso. Ha detto no non potete licenziare quei dirigenti, dovete chiedere a noi regioni l’intesa perché si tratta di materia concorrente tra stato e regioni. Noi abbiamo chiesto alle regioni il parere, ma loro volevano l’intesa”. Quindi, hanno fatto ricorso “e il Veneto ha vinto. Io non entro nel merito” della discussione, “ma a voi sembra normale un meccanismo del genere? Vi sembra governabile un Paese in cui abbiamo questo sistema?”. In quel momento, Renzi ha operato una sorta di rovesciamento logico, acquisendo anche una sentenza importante, che però va contro governo e maggioranza, alle ragioni referendarie della sia riforma. Prima, definisce la Corte Costituzionale “burocrazia opprimente”, poi sostiene che il sistema delle relazioni Stato-Regioni può pendere a favore di queste ultime, a Costituzione vigente, e infine usa questo caso per legittimare ancora di più l’intervento su 47 articoli della Carta. Astuzia dialettica, rovesciamento logico ed anche manifesta strategia di rottura degli equilibri dei poteri.

Renzi detta la linea, e parte la velina: non è la legge che è scritta male, “il sistema è colpevole”. Perciò, meglio abolire i diritti delle Regioni

In sostanza, cos’ha detto Renzi? La regola generale di Montesquieu, che da più di 3 secoli regge gli stati moderni, ovvero la distinzione tra i poteri, esecutivo, legislativo e giudiaziario, va smantellata, per far posto ad un unico potere prevalente, l’esecutivo, al quale tutti gli altri poteri subordinarsi. Nella scomposta e urlata reazione del premier possiamo leggere la vera intenzionalità nascosta tra le pieghe della sua riforma. Non è un caso, che un minuto dopo l’attacco del premier alla Corte Costituzionale sia partito il solito schema comunicativo di Palazzo Chigi e Largo del Nazareno: la legge renziana non è sbagliata, è l’organo di controllo costituzionale che favorisce impropriament il blocco del sistema. Tesi curiosa che tuttavia rimabalza in tante dichiarazioni della maggioranza. Lo schema è il solito, e francamente vedere attaccata in modo così maldestro e antidemocratico la Corte Costituzionale induce a qualche timore di lesione democratica degli equilibri tra i poteri.

Marianna Madia, la ministra dalla quale la legge prende il nome, prima dice molto banalmente che “le sentenze si rispettano”. Poi, però, non si trattiene, e affonda in puro stile renziano: “Una Regione, il Veneto, ha impugnato la legge” ha spiegato Madia “e ora ci dobbiamo fermare con le norme sul trasporto pubblico locale”. Il ministro ha quindi sottolineato, in chiave referendum, “se votiamo sì non ci sarà più la possibilità che una Regione blocchi l’innovazione di tutto il Paese”. L’inferenza logica è evidente: la Consulta dice che la legge è incostituzionale, perciò togliamo i diritti a coloro che hanno presentato l’istanza, le regioni, e così evitiamo intralci per il futuro. Sulla stessa linea poi la grancassa propagandistica del comitato per il sì. A nessuno è mai venuto in mente che quella inferenza logica nasconde un carattere neoautoritario, antidemocratico, sostanza ormai manifesta della riforma Renzi-Boschi.

I commenti di Susanna Camusso, Luigi Di Maio e Gaetano Quagliariello

La riforma del Titolo V “non c’entra nulla in questo caso, mi pare strumentale”. ha detto, giustamente, la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, a margine della manifestazione dell’Anpi, a commento delle osservazioni del premier.

“Sono una banda di incompetenti che non sanno fare le leggi. Quelle legge non è stata contestata nel merito, ma nella procedura. Non sanno neanche applicare le leggi che approvano, figuriamoci se possono toccare la Costituzione”, ha invece detto Luigi Di Maio, il quale tocca il punto politico della vicenda: le relazioni istituzionali sono garantite da procedure costituzionali rigorose. Se lo Stato interferisce coi diritti garantiti alle Regioni dalla Costituzione, ecco che “si procede” ai ricorsi, e le Regioni spesso vincono, come in questo caso. La questione è politica, non formale, come invece ha voluto farci credere la vulgata renziana.

“La sentenza della Consulta sulla legge Madia è un ulteriore colpo mortale per l’arroganza di un governo che pensa di soddisfare la sua bulimia accentrando tutto il potere, contro ogni regola, contro ogni principio, contro ogni barlume di rispetto per l’autonomia delle strutture amministrative dello Stato e delle sue articolazioni territoriali. E la reazione del premier Renzi è la dimostrazione di cosa accadrebbe se dovesse passare la riforma costituzionale che, lungi dal mettere ordine nel rapporto fra Stato, territori e amministrazione, risponde esattamente a questo disegno accentratore”, dice in una nota il senatore Gaetano Quagliariello, presidente di ‘Idea’. “Sulla base delle norme delega dichiarate incostituzionali – prosegue – il governo ha elaborato decreti attuativi che in tempi non sospetti non avevamo esitato a definire agghiaccianti per la loro portata accentratrice e prevaricatrice. Da un lato essi metterebbero la dirigenza pubblica alla mercé dell’esecutivo privandola di qualsiasi autonomia e indipendenza, e dall’altro pensano di risolvere il problema dell’efficienza delle amministrazioni territoriali, e in particolare di quelle sanitarie, non responsabilizzando le Regioni ma assoggettando le nomine al potere centrale (salvo poi consentire ai presidenti delle Regioni commissariate di essere essi stessi commissari alla sanità…). Uno dei decreti attuativi più aberranti, quello sulla dirigenza pubblica – osserva ancora Quagliariello -, scade domani. Sarebbe inaudito se si procedesse come se nulla fosse dopo la dichiarazione di incostituzionalità degli articoli da cui le norme di attuazione promanano”. Come non essere d’accordo?

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