
Vi conosciamo mascherine. Siete quelli che fino a qualche giorno fa guardavate con disprezzo, indignati quant’altri mai, per quanto andava dicendo quello zoticone di Donald Trump, per la violenza del suo linguaggio, un razzista, un militarista, le donne oggetto, la sua capigliatura gialla. Autorevoli commentatori, editorialisti, le “penne” di punta dei grandi media, gli inviati in Usa componevamo quadretti divertenti, immagini in tv ci facevano vedere un Trump che ha più capelli di quanti non ne avesse da giovane, miracolo della crescita. Colpo di spugna. Trump conquista la maggioranza dei grandi elettori e si aggiudica la presidenza a meno di sorprese da parte di coloro che devono votarlo. Scompare tutto. Quel Trump lì non c’è più. I più avveduti, si fa per dire, affermano subito che è la democrazia, cercano di tranquillizzare, quelle cose trucide le ha dette per prendere voti ma da presidente si comporterà diversamente.
In campo il popolo degli ipocriti che cambia opinione ad ogni stormir di fronda
Vi conosciamo mascherine. Siete quelli, o i loro eredi, che costrinsero Morandi a cambiare le parole di una sua splendida canzone, “C’era un ragazzo” che raccontava dei marines americani che sparavano sui vietcong, dei giovani americani che non volevano andare a far la guerra in Vietnam. Cambiò quelle frasi in un orribile tarata tatà, taratatà. I giovani, gli studenti, anche i meno giovani, nelle manifestazioni contro le guerre, cantavano quella canzone, divenne il loro inno nella versione originale. E Morandi cantò di nuovo la sua canzone antimilitarista. Siete quelli che cancellaste Cassius Clay quando rifiutò di andare in Vietnam, lo cancellaste dopo averlo idolatrato. Siete quelli che quando toccate il fondoschiena ad una donna quando lei protesta, soavemente, moromorate, “scusi non sapevo” come se il fondo schiena delle donne fosse a disposizione di tutti. Siete quelli che ai Parioli andate a letto con le minorenni, tanto a 14 anni, dicono lo statistiche, non sono più vergini. Siete quelli cui piacerebbe una sposa bambina. Siete il popolo degli ipocriti che cambia bandiera ad ogni stormir di fronda. In fondo, in fondo, invidiate Trump e individui come lui. Del resto non siete soli. Gli esempi, in negativo, vengono dall’alto.
Juncker: “Trump non rispecchia i valori europei”. E viene bacchettato da autorevoli politici nostrani
Dai media, da autorevoli esponenti politici, i quali, per non saper che fare, bacchettano il presidente della Commissione europea, quel Jean-Claude Juncker, indicato da Renzi Matteo come il nemico numero 1 dell’Italia, perché si è permesso di dire pane al pane, vino al vino. Fra le altre affermazioni: “Trump sui migranti e gli statunitensi non bianchi ha una attitudine che non rispecchia i nostri valori europei”. Ancora, dice Juncker: “Con Trump perderemo due anni: il tempo che faccia il giro del mondo che non conosce”. Le cancellerie europee sono più diplomatiche. Certo l’applauso di Putin e dei suoi all’annuncio che Trump si era aggiudicato la maggioranza dei grandi elettori non era un buon auspicio, così come le entusiastiche dichiarazioni dei peggiori arnesi, razzisti, fascisti, gruppi nazisti, che si agitano in Europa. Ma la “democrazia” ha fatto vincere questo Trump, che ci volete fare. E da Palazzo Chigi che aveva messo in cornice l’incontro con Obama, la cena in smoking, gli elogi sperticati rivolti a Hillary Clinton, l’invito a venire in Italia, prima visita in Europa, arrivava la velina, calma e gesso, collaboreremo con Trump, lo vuole la democrazia. E nel nome di questa parola si commettono vere e proprie infamie. La prima: di fatto si è ignorato e si continua ad ignorare che non il popolo ha decretato la vittoria di Trump ma una legge elettorale che risale al 1787, 17 settembre, Convenzione di Philadelfia, quando il voto era riservato ai soli bianchi, i cui fondamenti sono validi ancora oggi. Con questa che legge prevede l’elezione indiretta del Presidente da parte dei grandi elettori Stato per Stato, si sono costruiti gli Stati Uniti, con ogni stato che ha ampi poteri, quello più importante di eleggere il Presidente, la Camera, il Senato. Il sistema di elezione si chiama “Winner takes all”, chi prende più voti porta a casa tutti i grandi elettori, salvo che nel Nebraska e nel Maine dove vige il sistema proporzionale. Accade così, unico paese al mondo, che pur avendo riportato la maggioranza del voto popolare non conquisti la presidenza. Così è accaduto ad Hillary Clinton. I media italiani hanno nascosto il fatto che il voto popolare aveva assegnato la vittoria alla candidata dei Demcratici. Nascosto in qualche piega degli articoli il risultato: Clinton 59.798.978 voti, Trump 59.594.252. E finisce lì. Invece non è così. I media italiani nascondono anche i conteggi che vanno avanti e portano Clinton a 61.039.922, Trump a 60.265.858. Dati ufficiali forniti dalla rete televisiva Cnn che ipotizza un finale di 63milioni per Hillary e 61 per Donald.
I media italiani mettono la sordina alle manifestazioni di protesta che si svolgono in tutti gli States
Ma il lettore italiano non deve sapere, tanto meno chi assiste a squallidi talk show. Non solo: salvo eccezioni, le manifestazioni che si stanno volgendo in tutti gli States, nelle grandi città, protagonisti i giovani, gli studenti, che hanno dato il via e vedono giorno dopo giorno scendere in campo associazioni, sindacati, latinos, un arcipelago di sigle e di espressioni, di donne e uomini di ogni età, personaggi del mondo della cultura, dello spettacolo. “Not my President” è lo slogan che dilaga. Insieme a quello con il quale gli studenti hanno lanciato la sfida “Ha vinto Hillary”. In questi giorni ne abbiamo lette e viste di cotte e di crude. Gli inviati dei grandi giornali che, di fronte a quella che i più avveduti definiscono una nuova “Occupy Wall Street” parlano di manifestazioni di “poche decine di persone” mentre alle loro spalle compaiono immagini di cortei molto folti, coloriti. Il primo premio è da assegnare al servizio pubblico radiotelevisivo, in particolare al Tg3 della notte. L’obiettivo voluto o non voluto ma così è stato, era quello di dimostrare che chi manifestava erano ragazzotti, “contestari di professione” ha detto Trump. Lo stesso conduttore ha affermato che non si capiscono i motivi della protesta, il voto ha assegnato la vittoria a Trump. Punto.
Al Tg3 della notte va in scena un comiziaccio di Vittorio Sgarbi. Grida e insulti contro i “comunisti”
Alla giornalista del Manifesto che la pensava diversamente si è contrapposto Vittorio Sgarbi, un comiziaccio fatto di urla, improperi, attacchi a Fidel Castro, accusato di ogni infamia, ai comunisti in genarale, a Obama in particolare. Urla incontenibili, accuse contro i giovani che nelle città americane manifestano, gliela farà vedere Trump. Il conduttore ha assistito impassibile allo show di Sgarbi. Bruno Vespa non ha perso tempo. Questi giovani che vogliono? Devono imparare la democrazia. Le manifestazioni, questa l’opinione anche del conduttore, non hanno ragione di essere. Una avvisaglia si era avuta già nel Tg3 della notte precedente quando un giornalista della Stampa aveva detto che “quei giovani che manifestavano era meglio se fossero andati a votare”. Lui era certo che non ci fossero andati, lo dicevano le statistiche. Ma il clou era riservato ad un professore, ordinario di Relazioni internazionali alla facoltà di Scienze politiche alla Università cattolica di Milano, tal Vittorio Emanuele Parsi il quale affermava che i giovani che manifestavano erano un branco di “sciamannati”. Questa è la tv pubblica ai tempi di Renzi.
Il mondo dei lavoratori Usa, precarità, contratti aziendali, senza diritti. Il voto nelle città dell’auto
Eppure proprio i media potrebbero provare a comprendere e raccontare ciò che avviene nel mondo delle società postmoderne. “Dare voce – scrive Nadia Urbinati in un editoriale su Repubblica – invece che coprire con la propria voce (tipico della attuale linea editoriale del quotidiano ndr). Per scongiurare fra l’altro, che sia un Trump qualunque a dar voce”. Magari qualche inviato o qualche corrispondente potrebbe raccontare cosa avviene nelle città industriali, quelledell’auto, Detroit dove, si dice, gli operai avrebbero votato Trump oppure disertato le urne. Forse si scoprirebbe che i contratti stile Marchionne, niente contratti nazionali, tutto in azienda, niente diritti, niente posto di lavoro a tempo indeterminato hanno portato ad un impoverimento dei lavoratori in termini di salario e di libertà. Si potrebbe dire che gli Usa, dal punto di vista dei padroni, sono vicini. E Trump non può che fare paura. Senza ammuine.
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