Elezioni Usa. Come si vota, con quali regole, con quale partecipazione. Gli stati in bilico

Elezioni Usa. Come si vota, con quali regole, con quale partecipazione. Gli stati in bilico

Di certo, martedì 8 novembre 2016 passerà alla storia, nel bene o nel male, data l’importanza storica, epocale, che hanno assunto le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, e soprattutto per effetto di uno dei due candidati, quel Donald Trump, repubblicano molto naif, opposto alla democratica Hillary Clinton, che ha voluto sfidare tutto e tutti con il motto “Make America Great Again”, rifacciamo grande l’America. Una competizione, quella del 2016, che giunge dopo gli otto anni di presidenza Obama, il primo afroamericano nella storia degli Usa, democratico, progressista e riformista, il presidente che ha cercato di allargare la sfera dell’accesso ai servizi sanitari ai meno abbienti e che di fatto ha salvato gli Stati Uniti dal collasso economico pompando 800 miliardi di dollari pubblici nel sistema sociale e produttivo. Intanto, vediamo come si voterà, qual è il grado di partecipazione al voto e quali sono gli stati dove la competizione tra Clinton e Trump appare in bilico.

Le procedure di voto negli Stati Uniti per l’elezione del presidente

COLLEGIO ELETTORALE L’elezione del presidente degli Stati Uniti è in realtà indiretta. Formalmente, l’inquilino della casa Bianca è nominato il 19 dicembre (ovvero, il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre) da 538 grandi elettori (i delegati, pari ai 435 deputati, ai 100 senatori e a 3 personalità della capitale), espressi dai 50 Stati in proporzione alla popolazione: la California che ha 38,8 milioni di abitanti è il più pesante perché ne assegna 55, mentre lo sterminato Alaska, dove vivono però solo 736.000 persone, ne attribuisce solo 3. Vince chi ottiene almeno 270 voti elettorali. Tranne che in Nebraska e nel Maine, dove vige un sistema proporzionale, negli altri Stati chi vince anche di un solo voto popolare conquista l’intero pacchetto di grandi elettori (the winner takes it all). Caso emblematico resta quello delle elezioni del 2000. Sedici anni fa il democratico Al Gore, che aveva conquistato la maggioranza del voto popolare (50.999.897 voti contro i 50.456.002 del rivale repubblicano George W. Bush), perse per soli 537 voti gli allora 27 grandi elettori della Florida (oggi sono 29).

IMPASSE In caso di parità di grandi elettori tra i due candidati la scelta, prevede il XII emendamento approvato nel 1804, è affidata al Congresso: la Camera sceglie il presidente e ogni Stato esprime un voto; il Senato sceglie il vicepresidente. Lo stallo si verificò due volte nella storia americana (quando il numero di grandi elettori non era ancora di 538): nel 1800, quando Thomas Jefferson (il terzo presidente) e Aaron Burr ottennero ciascuno 73 voti e Jefferson vinse solo al 36esimo ballottaggio. E nel 1824 Andrew Jackson ottenne 99 voti elettorali, John Quincy Admas (che aveva in effetti avuto più voti popolari) 84, William Crawford 41 e Henry Clay 37, dal momento che nessuno aveva raggiunto la maggioranza di 131, decise la Camera e vinse Jackson al primo ballottaggio.

ELECTION DAY La data delle elezioni è fissata dalla Costituzione Usa nel martedì successivo al primo lunedì del mese di novembre quattro anni dopo l’ultima elezione del presidente. Per candidarsi sono necessari tre requisiti imprescindibili: avere almeno 35 anni, essere nati negli Stati Uniti e risiedervi da almeno 14 anni.

INSEDIAMENTO Chi vincerà la sfida dell’8 novembre si insedierà alla Casa Bianca a mezzogiorno del 20 gennaio 2017. Il presidente giura nelle mani del presidente della Corte Suprema con la stessa formula usata da George Washington nel 1789: “Io solennemente giuro che svolgerò fedelmente l’incarico di presidente degli Stati Uniti e, al meglio delle mie capacità, preserverò, proteggerò e difenderò la Costituzione degli Stati Uniti”.

La partecipazione al voto: una media del 50%, dettata dalle enormi difficoltà che s’incontrano per votare

Le elezioni presidenziali statunitensi sorprendono per l’affluenza, tra le più basse al mondo tra i Paesi sviluppati. Gli esperti ritengono che i freni maggiori siano l’obbligo di registrarsi per gli elettori e la complessità del processo in alcuni Stati. Nelle presidenziali del 2012 votarono 129,1 milioni di persone, su una popolazione in età elettorale di 241 milioni di persone: la partecipazione, cioè, fu del 53,6%. Il dato è scioccante se paragonato con l’affluenza in altri Paesi sviluppati: in Svezia, Corea del Sud o Belgio la partecipazione supera l’80%, in altri come Francia, Italia e Germania è oltre il 65%. Nonostante l’impiego enorme di risorse economiche multimilionarie da parte dei candidati, l’astensione negli Usa è rimasta sempre intorno al 50% negli ultimi tre decenni. “Dal 1980, la partecipazione è variata appena del 9% dal minimo del 1996 con il 48%, quando fu rieletto Bill Clinton, al massimo del 57% nel 2008, quando Barack Obama arrivò alla Casa Bianca”, ha sottolineato il centro studi Pew Research di recente. L’astensionismo è legato all’appartenenza a gruppi sociali. Tra gli elettori bianchi dal 1980 l’affluenza supera il 60%, e solo nel 2012 raggiunse il 66,2%. Gli afroamericani hanno superato di poco il 50% nel 1980, superando il 64% nel 2008 e nel 2012, dati che salirono per la presenza di Barack Obama, primo presidente afroamericano del Paese. Gli ispanici, sebbene abbiano un crescente peso demografico, negli ultimi decenni non hanno mai superato una partecipazione al voto del 50%. Nel 2012, essa è stata del 48,8%. Ciononostante i cittadini statunitensi di origine ispanica con diritto di voto sono passati da appena 7,7 milioni nel 1988 a 23,3 milioni nel 2012, mentre saranno 27,3 milioni quest’anno. Gli esperti, tuttavia, non si aspettano che la loro affluenza alle urne si distacchi molto dal 50%.

Ogni Stato ha proprie regole e leggi autonome in materia di espressione del voto

Tra le cause della bassa presenza alle urne, gli esperti citano il fatto che lo stesso elettore debba registrarsi, reso più difficile dalle differenze nelle procedure tra gli Stati. In alcuni la scadenza per registrarsi è mesi prima del voto, in altri si può farlo anche nel giorno delle elezioni. Diversi anche i documenti richiesti e le procedure da seguire. In questo sistema, anche un cambio di residenza, un divorzio o una patente scaduta possono impedire di votare. Il Texas, per esempio, tra gli Stati con la maggior percentuale di popolazione ispanica in età di voto (il 28%, pari a 4 milioni), è considerato “lo Stato più restrittivo del Paese quando si tratta di registrazione al voto”, secondo il Texas Civil Rights Project. La causa è un iter burocratico e amministrativo molto complesso, che gli attivisti criticano dicendo che colpisca soprattutto le minoranze. Nel 2011, inoltre, un’ondata di leggi in una decina di Stati (soprattutto nelle zone conservatrici del sud come Georgia, South Carolina e Florida) ha aumentato i requisiti necessari. Di conseguenza, si calcola che quasi il 25% della popolazione avente diritto di voto (61 milioni di persone) non sia registrata. Altri fattori ostacolano l’affluenza. Gli storici sottolineano che, per una legge che risale al 1845, le elezioni si svolgono di martedì, sempre il successivo al primo lunedì di novembre, quindi molti elettori devono cambiare orari di lavoro o cambiare le proprie abitudini settimanali per affrontare le possibili lunghe code alle urne. Infine, la gran parte degli Stati americani proibisce espressamente o applica restrizioni ai detenuti e agli ex condannati sull’esercizio di voto. Ciò pesa, poiché gli Usa contano la popolazione di detenuti più vasta al mondo: 2,2 milioni di persone (dato attuale). Quest’anno la Virginia ha tentato di modificare le regole in merito e si trova nel mezzo di un iter giudiziario per permettere che chi ha scontato condanne possa votare. Questo cambiamento permetterebbe di andare alle urne, solo nello Stato, a 200mila persone.

Almeno 15 gli Stati americani “swing”, ballerini, da tenere d’occhio nelle elezioni per il nuovo inquilino della Casa Bianca 

FLORIDA È ancora un volta lo Stato che potrebbe fare la differenza. Per Trump è essenziale conquistarla. I Democratici hanno il vento in poppa, alimentato dal massiccio voto anticipato degli immigrati portoricani e comunque dei ‘latinos’. Anche i giovani cubani americani si sono allineati con la candidata democratica.

ARIZONA Il Grand Canyon State non ha votato per un candidato democratico dal 1996, quando fu eletto Bill Clinton. Gli ultimi sondaggi danno Trump in lieve vantaggio ma l’early voting sembrerebbe favorire i Democratici: venerdì, l’ultimo giorno in cui si poteva votare in anticipo, c’erano migliaia di cittadini ancora in fila. È indicativo anche il fatto che il repubblicano Joe Arpaio, lo sceriffo della contea di Maricopa, famoso per le proposte-choc e le inchieste sul certificato di nascita di Barack Obama, rischia di non esser rieletto dopo 24 anni.

NEVADA Assegna solo 6 grandi elettori ma potrebbe essere la ‘tomba’ di Trump. Gliel’ha scavata Harry Reid, il democratico che fu leader della minoranza Democratica al Senato tra il 2005 e il 2007. Il Nevada ha votato per il candidato che ha vinto le elezioni in tutte le presidenziali dal 1992 ad oggi; eppure è diviso nettamente tra elettori repubblicani e democratici. E negli ultimi anni ha cambiato composizione demografica: quasi un terzo dello Stato è ispanico, c’è una crescente popolazione di asiatici. Reid è riuscito a portato a livelli record l’affluenza dei latinos.

COLORADO Uno degli Stati più altalenanti tra gli Swing States: nel 2004, votò in maniera massiccia per George W. Bush, con una percentuale superiore alla media nazionale. Appena quattro anni più tardi, ha fatto lo stesso ma per Barack Obama. E fu così anche il mandato successivo. Stavolta sembra propendere nettamente a favore di Hillary Clinton (complice probabilmente la crescente popolazione ispanica, aumentata più del 20 per cento). Se dovesse finire nella colonna ‘blu’ sarebbe la prima volta negli ultimi 100 anni ad aver votato Democratico per tre volte di fila.

GEORGIA Punta verso Trump. L’ultima volta che votò democratico fu per Bill Clinton, nel 1992, per cui stavolta sembrava dover andare di diritto alla ex First Lady. E invece la battaglia si è fatta infuocata: gli ultimi sondaggi danno Trump in lieve vantaggio oppure con un distacco che rientra nel margine di errore. La Clinton può sperare nello strabordante sostegno degli afroamericani di Atlanta (la vota l’89% dei neri secondo un recente sondaggio NBC/Wall Street Journal/Marist, rispetto al 5% per Trump). Occorre vedere se riuscirà a mobilitare anche latinos e asiatici.

IOWA Conquistato da Barack Obama tanto nel 2008 che nel 2012, stavolta potrebbe andare a Trump grazie all’elettorato bianco e con scarso livello di istruzione. Assegna appena 6 ‘grandi eletori’, ma nello stretto cammino verso la Casa Bianca di Trump sarebbe essenziale.

MICHIGAN Dal 1988 non sostiene un repubblicano alla Casa Bianca. Eppure questo Stato industriale, alla Clinton ha già riservato un brutta sorpresa alle primarie, votando Bernie Sanders. Con il 72% della popolazione bianca e un livello di istruzione non elevato, la Clinton, che è forte sopratutto tra le minoranze, adesso pare in difficoltà.

WISCONSIN Lo Stato dove è nato il Partito Repubblicano non manda alla Casa Bianca un repubblicano dal 1964, ma Trump, puntando sulla classe operaia che ha sofferto in prima battuta il declino della industria manifatturiera americana, sta tentando di rovesciare la partita. Non ha lavorato per lui Paul D. Ryan, lo speaker repubblicano alla Camera, eletto proprio in Wisconsin, che non gli ha mai dato l’endorsement, anche se il primo novembre ha votato per Trump.

VIRGINIA Mesi fa il vantaggio di Clinton era così notevole che entrambe le campagne cessarono gli annunci pubblicitari in tv. Ma poi la corsa si è fatta più serrata ed entrambi sono tornati in tv.

NEW HAMPSHIRE Piccolo e indipendente, non è un gran premio in ballo con i suoi soli 4 grandi elettori da assegnare, ma è terreno di scontro a causa di un’agguerrita comunità repubblicana in un’area tradizionalmente democratica. Qui infatti, il partito dell’Asinello ha vinto quattro delle ultime 5 elezioni. Ma la corsa della Clinton, che sembrava primeggiare senza tanto sforzo, si è affievolita nelle due ultime settimane e i sondaggi la davano in calo dopo l’annuncio dell’apertura della nuova inchiesta dell’Fbi.

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