Elezioni Usa 2016. Le ultime ore di una campagna elettorale molto dura, spesso scorretta. Clinton data in vantaggio su Trump

Elezioni Usa 2016. Le ultime ore di una campagna elettorale molto dura, spesso scorretta. Clinton data in vantaggio su Trump

Più anfanante che scoppiettante la chiusura della campagna americana per l’elezione del nuovo presidente. A ravvivarla, Hillary Clinton si presenta sul grande proscenio di Philadelphia, in Pennsylvania, per uno show che la vedrà affiancata o circondata dai coniugi Obama (molto collaborativi soprattutto nelle ultime settimane), da Bruce Springsteen e da Bon Jovi. Il mondo dello spettacolo ancora una volta non ha tradito i democratici. L’anima leftist della generalità dei grandi nomi del cinema e della musica si manifesta anche nel sostegno a una candidata che per la verità di leftist non ha moltissimo. Bruce e Bon canteranno, mentre Barack ripeterà ancora una volta: “Fate per Hillary ciò che avete fatto per me”.

Hillary Clinton: dopo giorni in discesa, nelle ultime ora pare riprendere quota nei sondaggi

 In pericolosa caduta di consensi dopo la bomba sganciata da James Comey, Hillary ha riguadagnato nelle ultime ore un margine che a questo punto tutti gli analisti ritengono decisivo. Il capo dell’FBI, dopo aver, a sorpresa, riesumato lo spinosissimo caso emailgate il 28 ottobre, ieri ha compiuto una altrettanto repentina marcia indietro, dichiarando che non c’era materia per riaprire le indagine sull’ex segretario di stato. Il caso è chiuso. Cosa è successo? Se il peso delle centinaia di migliaia di email oggetto dell’indagine era tale da indurre Comey a squassare una campagna elettorale che sembrava ormai avere un profilo definito, come è possibile che in una settimana questo peso si sia vanificato? Sono state passate al vaglio le oltre 600.000 email? Tecnicamente impossibile. Sconcertante conclusione: politico era stato il primo intervento e politico è stato il controintervento. Pressioni e contropressioni, comprensibili nel fuoco della contesa elettorale. Meno comprensibile è che il capo dell’FBI si presti a giochi così pesanti, che lo squalificano in modo irreparabile. Quante volte in questi anni, navigando nel guano delle vicende politiche italiane, abbiamo letto o usato la formuletta: “In un paese normale” questo non sarebbe possibile o non sarebbe accaduto. Be’, consoliamoci. Se gli USA sono un paese “normale” (ed è difficile dubitarne), questa campagna presidenziale ci ha dimostrato che quel genere di “normalità” invocata e invidiata è in sonno non solo fra le nostre pareti domestiche. Magra consolazione.

Trump: se Clinton verrà eletta sarà incriminata 

Hillary Clinton ha tirato un sospiro di sollievo e Trump, dopo aver dichiarato che l’emailgate era uno scandalo più grave del Watergate, ora schiuma di rabbia e comunque non rinuncia ad annunciare che se la Clinton sarà eletta verrà incriminata da un tribunale federale (e se verrà eletto, farà in modo che vada in galera). Il candidato dei repubblicani, che persino in un frangente così delicato, è stato lasciato solo dallo stato maggiore del suo partito, conclude oggi la campagna con una raffica di meeting: in Florida, nel North Carolina, in Pennsylvania e nel New Hampshire, quattro stati che appartengono alla folta schiera degli stati in bilico, soprattutto i primi due, mentre per i sondaggisti Pennsylvania e New Hampshire pendono in direzione democratica. La Clinton sembra poter contare su un apporto decisivo dell’elettorato “latino”, che è orientato – secondo gli analisti – per ben il 67 % a favore della candidata democratica, mentre solo il 19 voterebbe Trump: un divario così marcato non lo si era mai riscontrato. I toni xenofobi usati da Trump per l’intera campagna gli valgono consensi nel vasto elettorato tradizionalista, ma gli alienano il favore delle minoranze. Eppure, anche se la controbomba di Comey ha quasi del tutto spento le residue velleità repubblicane di conquistare la Casa Bianca, i sondaggi su scala nazionale danno Donald in ritardo rispetto a Hillary di tre o al massimo cinque punti (48-43 Abc/Washington Post, 43-42 Morning Consult, 44-40 Nbc/Wall Street Journal): uno scarto sensibile, ma inferiore a quello che si era registrato quando era esploso il caso del video in cui Trump dava il meglio (o il peggio) di sé come sessista incontrollato.

L’aumento dei Swing States, gli Stati in bilico. Ai Democratici quasi certamente il Senato

Peraltro, si è ampliato, negli ultimi giorni, il novero degli stati “in bilico”. Sono parecchi – almeno una dozzina – quelli che nessuno si sente di assegnare in anticipo all’uno e all’altro candidato. E, se alcuni tradizionali insediamenti repubblicani come il Nevada, oggi vengono dati per persi, la contesa in alcuni stati chiave, come North Carolina, Florida, Ohio, Arizona, è apertissima. Tanto che, paradossalmente, mentre risale la percentuale nazionale di Hillary, alla candidata democratica oggi vengono assegnati solo 202 delegati sicuri, rispetto ai circa 290 che sembravano sicuri per lei prima della incursione di Comey. Questo si spiega col meccanismo del sistema elettorale americano in cui chi vince in uno stato, anche di un solo voto, si prende tutto: tutti i delegati. E più numerosi sono gli stati in bilico, più ampio è il numero di delegati che fino all’ultimo non si è in condizione di attribuire. Dove invece, i democratici non dovrebbero fallire il colpo è nella conquista della maggioranza al Senato: una accurata analisi, stato per stato, condotta dal Washington Post con esperti di entrambi i campi, definisce molto probabile la vittoria democratica. Impresa invece praticamente impossibile per la Camera dei rappresentanti.

Gli alleati di Clinton, a Wall Street, cominciano a tirare sospiri di sollievo

La Borsa – e non solo quella americana – ha festeggiato per la clamorosa marcia indietro di James Comey. Wall Street, l’alta finanza, il mondo imprenditoriale stanno con Hillary Clinton dall’inizio della campagna, non è una novità. Così come la rivelazione della nuova emailgate aveva gettato nel panico Wall Street, ora la chiusura del caso è stata accolta con comprensibile sollievo. Amata dai finanzieri, Hillary lo è meno dalla classe operaia, che avrebbe preferito Bernie Sanders. Anche se i dati sull’occupazione sono positivi, la candidata dei democratici non ha mai fatto molto breccia nella working class. Stasera, prima della “big parade” conclusiva in Pennsylvania, la Clinton terrà un comizio nel Michigan, che nelle primarie le preferì il candidato di sinistra. Una spolverata di leftism che comunque, a questo punto, più che a raccattar voti punterà a consolidare l’immagine del presidente di tutti.

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