Daniele Tissone (Silp Cgil), intervista a tutto campo. Azione preventiva e repressione non bastano a combattere il terrorismo. Servono interventi umanitari, integrazione dei migranti. I provvedimenti d’emergenza del governo non garantiscono la sicurezza. Il ruolo delle forze di Polizia

Daniele Tissone (Silp Cgil), intervista a tutto campo. Azione preventiva e repressione non bastano a  combattere il terrorismo. Servono interventi umanitari, integrazione dei migranti. I provvedimenti d’emergenza  del governo non garantiscono la sicurezza.  Il ruolo delle forze di Polizia

Ogni giorno le cronache dei media, con abbondanza di immagini fornite dalle televisioni, raccontano di stragi, di persone uccise da fanatici che si fanno saltare in aria, “educati” alla morte nel nome di una divinità che non c’è, di una religione, l’Islam, che viene trasformata in terrorismo. Le cronache ci raccontano di “organizzatori” che reclutano, nei paesi europei, giovani che si trasformano in crudeli terroristi. Non basta arrestare qualche reclutatore. Non basta piangere coloro che vengono barbaramente uccisi, corpi dilaniati da bombe improvvisate. Come dare una risposta concreta alla emergenza terroristica di matrice islamica in particolare.

Ne parliamo con Daniele Tissone, segretario generale del Silp Cgil, il sindacato dei lavoratori della polizia. “Gli spunti di riflessione connessi alle criticità legate ad un nuovo quanto preoccupante fenomeno che non ha precedenti in Europa come nell’occidente – dice – devono necessariamente tener conto, in particolare, degli indispensabili aspetti legislativi finalizzati al contrasto vero e proprio come agli strumenti investigativi utili a realizzare tali obiettivi senza, però, dimenticare quelle che sono le ‘cause’ e gli interventi che andrebbero messi in campo a livello geo-politico in quelle regioni del mondo che ‘alimentano’ i suddetti fenomeni. Dico questo perché gli attentati dell’11 settembre del 2001, che hanno proiettato improvvisamente il mondo in un incubo imprevedibile, e che ci hanno purtroppo fatto acquisire una nuova consapevolezza in relazione alla neo minaccia del terrorismo di matrice islamista, hanno altresì determinato, così come avvenne in Italia di fronte all’escalation delle Brigate Rosse, una accelerazione nell’evoluzione giuridica della legislazione in materia di antiterrorismo”.

 Perché il richiamo  alle Brigate Rosse, un fenomeno con caratteristiche molto diverse?

Come durante gli anni ’70 in Italia, a fronte del diffuso e sanguinoso fenomeno del terrorismo interno, che vide protagoniste organizzazioni di matrice marxista-leninista nonché gruppi di estrema destra, il nostro Stato ebbe a dotarsi di una serie di contromisure facendo, per la prima volta ricorso, a specifici provvedimenti di carattere tecnico-organizzativo e giuridico. Un tale sforzo, fatto di progressivi interventi che andranno sotto il nome di “legislazione di emergenza” riguardarono, per la circostanza, il potenziamento di infrastrutture, l’adeguamento dell’armamento e della strumentazione tecnica nonché il miglioramento della selezione e dell’addestramento del personale delle forze di Polizia. Non solo, si addivenne, in tale contesto, ad un più efficace coordinamento delle forze di Polizia attraverso l’istituzione di appositi uffici a livello centrale e periferico ammodernando i procedimenti di elaborazione dei dati con la computerizzazione a fini di Polizia. Erano i cosiddetti “anni di piombo”, ma anche la stagione che portò al movimento per l’efficienza democratica della polizia, al sindacato, alla riforma, alla legge 121 del 1981.

Questo periodo, delle leggi dell’emergenza, lo ricordiamo bene ma ad oggi  cosa è cambiato rispetto ad allora?

Allora, se ripassiamo con la mente a quanto accadeva negli anni ’70 e ’80, procedendo con un raffronto con quel periodo, sono oggi purtroppo assenti dei chiari indirizzi politico-istituzionali; una polemica culturale impegnata ed una politica capace di concepire un piano teso alla concezione di un reale disegno istituzionale adeguato alle sfide che ci attendono.

Concretamente  da cosa ricavi un giudizio così negativo ?

Concretamente uso anch’io questa parola, lo si registra con il dl Madia, una riforma che non individua delle mete alte per il sistema di sicurezza pubblica, che le persone sviluppino, in coerenza con il loro progetto di professionalità, di valori, di aspettative della dignità della funzione ma che, come nel caso dell’assorbimento del Corpo Forestale, fa arretrare di anni quel processo di riforma voluto dalla Legge 121/81. In questo senso, la Repubblica e la sua natura di stato di diritto ha bisogno di concepire un piano serio che comprenda nel suo insieme un progetto finalizzato allo sviluppo, al lavoro, alla coesione sociale e per una sicurezza pubblica al passo con le nuove sfide del futuro. Tutto ciò mentre si dispiega una crisi organica nelle società, dell’economia, dello stato: indicare delle mete, e corredarle da un programma istituzionale coerente, è una necessità primaria e, non un mero tema “tecnico” di revisione della spesa.

Vuoi dire che ci troviamo come agli albori di quella stagione ma siamo preparati ad affrontare le sfide odierne?

La crisi e le nuove sfide che ci attendono anche sul delicato versante dell’immigrazione oltre che nel contrasto della minaccia terroristica, portano con sé tensioni di vasta portata e dalle inedite implicazioni; sono queste le nuove situazioni che si ha il dovere di affrontare con una visione in positivo che sappia migliorare l’esistente, in questo senso la sicurezza pubblica, funzione fondativa dello Stato moderno, può – come allora -, proporsi quale risorsa primaria per contribuire alla coesione nazionale e alla difesa del Paese.

Al riguardo credo che tutto questo può divenire un’opportunità per la funzione democratica di polizia se quest’ultima è interpretata come un orizzonte, uno sforzo professionale, una elaborazione del progetto di servizio che interpella le professionalità dell’Amministrazione. In tal senso, la deontologia professionale del servizio mostra quanto e come la “comunità degli operatori di polizia” può contribuire – anche grazie alle sue rappresentanze associative sindacali – ad affrontare i nodi del nostro paese.

Nella sicurezza quale valore pubblico da generare e rendere disponibile, le professionalità dello Stato dedicate alla difesa dal crimine e alla tutela dei beni comuni – siano essi materiali o immateriali – della società italiana, assumono una strategicità assolutamente unica.

Sono “principi “ indiscutibili, cardini dello Stato democratico. Ma come si realizza tutto questo?

La formazione, per esempio, può chiarire ad esplicitare (e non è mai la ripetizione di un concetto acquisito) il fine istituzionale alto, un operatore “formato” è oggi la miglior risposta sul fronte del contrasto a tutte le forme di criminalità – compresa quella terroristica – le cui risposte non sono certamente quelle rappresentate dall’istituzione delle sole unità di primo intervento. Siamo consapevoli che l’aggravarsi degli attuali scenari internazionali costituisca, per tutti, fonte di accresciuta preoccupazione ma le “risposte” che si devono oggi dare sul versante della sicurezza non possono più essere rimandate e hanno bisogno di un sostegno ampio come di risorse per la loro attuazione. Oggi le forze di Polizia si trovano sempre più esposte a fronteggiare “vecchie e nuove criticità” con sempre più scarse risorse in uomini e mezzi con un età anagrafica media che è la più alta d’Europa a fronte di carichi di lavoro sempre più in aumento.

La professionalità degli operatori di polizia è ancora elevata. Cosa rende difficile lo svolgimento di un servizio primario come la sicurezza dei cittadini?

La professionalità dei nostri operatori è ancora elevata e non va dispersa ma, per fare ciò, si rendono necessari ulteriori investimenti soprattutto sul fronte dell’ammodernamento delle tecnologie e sul versante formativo del personale; vi è una forte richiesta di formazione da parte del nostro personale che non va svilita né sottovalutata, cosa che abbiamo ribadito di recente anche al Capo della Polizia. Oltre al delicato e strategico tema della formazione mi viene da ricordare anche l’esigenza oggi primaria di un reale ed efficace scambio di informazioni e di dati tra le autorità di Polizia dei diversi Stati (DNA; impronte digitali, immatricolazione dei mezzi…) connessa anche alla correlativa esigenza di protezione di quelle informazioni, per loro natura, sensibili. Questo perché il “fenomeno del terrorismo internazionale” nelle sue forme attuali non conosce confini di Stati e di regioni, non a caso si parla di “criminalità transnazionale”, in uno scenario sempre più accentuato di globalizzazione e di interdipendenza tra Stati e organismi internazionali. Pertanto, è sui versanti del coordinamento investigativo come sull’evoluzione della normativa in materia di antiterrorismo che si gioca il nostro futuro.

Cosa si sta  facendo sul piano legislativo anche tenendo conto dei caratteri che sta assumendo il terrorismo internazionale ?

Le nuove norme riguardanti le attività sotto copertura (undercover) le intercettazioni preventive, l’arresto o il sequestro differito di corrispondenza o le misure preventive di espulsione da parte del Ministro dell’Interno e del Prefetto, sono alcune delle variegate situazioni operative che interessano l’attività del nostro personale, situazioni che presentano, per la loro stessa natura, una elevata criticità in relazione alle modalità di intervento e che necessitano di una ulteriore conoscenza e approfondimento di materie in continua evoluzione. Su tale versante, in un quadro normativo ancora da perfezionare, registriamo – purtroppo -, la criticità volta alla acquisizione di concreti indicatori tesi a dimostrare la pericolosità sociale dei soggetti destinatari di provvedimenti di espulsione dal nostro Paese.

Il terrorismo, o meglio i terrorismi nelle varie forme in cui si mostra, ha un carattere di imprevedibilità che rende più difficile l’azione per garantire la sicurezza de territori. Quali problemi da affrontare?

La consapevolezza dovuta al carattere di imprevedibilità del terrorismo internazionale, pone una diversa serie di problemi anche in ordine alle caratteristiche dei possibili, potenziali attentatori che sono rappresentati da cellule ben organizzate ma, molto spesso, anche da reduci provenienti dai conflitti siro-iracheni (foreign fighters) come ai possibili emulatori o fiancheggiatori (vedasi il recente caso lombardo). A ciò si aggiunga anche che, alla luce dei nuovi e più recenti attacchi terroristici, le modalità operative e il sistema normativo subiscono, in ragione dell’evidente emergenzialità in atto, continue evoluzioni e trasformazioni che rendono difficoltoso il lavoro di quanti si trovano impegnati su tali versanti preventivo-repressivi. Sul piano prettamente operativo registriamo, inoltre, una serie di difficoltà soprattutto alla luce dell’attrattiva rappresentata dai messaggi diretti ai mussulmani di seconda e terza generazione residenti in Europa.

In particolare di chi stai  parlando?  Del cittadino della “porta accanto”? Non c’è il rischio di creare una psicosi di massa?

Parlo di persone spesso integrate in quei Paesi che, con incitazioni che attraversano la rete, corrono il rischio di costituire una minaccia, anche interna, per tali Stati come hanno dimostrato gli episodi di Parigi e di Bruxelles. Oltre alle situazioni tendenti alle finalità di “arruolamento” nei combattimenti in Siria o in Iraq si è inoltre manifestato il recente ed insidioso fenomeno dei cosiddetti “homegrown” (coltivati in casa) un’incognita che riguarda la possibile presenza e “attivazione” di terroristi che, individualmente o in micro-cellule, possano, raccogliendo gli inviti di gruppi qaidisti o dello stato islamico, attivarsi in azioni sul territorio nazionale.

Le difficoltà nel combattere il terrorismo, nelle vecchie e nelle nuov forme sono molte. Il web può dare una mano? Oppure  può essere usato  come  supporto dai terroristi ?

Le difficoltà operative alle quali vanno incontro Magistratura e Forze di polizia nell’individuazione e nel monitoraggio dei tanti soggetti “homegrown – foreign fighters – lone actor” che compongono la svariata galassia eversiva formata da “solitari” e “regolari” sono un esempio. Per non parlare delle modifiche normative che interessano le figure (degli addestratori – addestrato – arruolatore) inserite negli artt. 270 quater e quinqies e quater 1 del vecchio “decreto Pisanu” che prevedono, ai fini della punibilità, “l’aver posto in essere atti concreti con finalità di terrorismo”. Credo, a questo proposito, che sul versante del monitoraggio occorra quindi uno sforzo maggiore da parte di quel personale specializzato che si occupa di arginare sul Web l’operatività di cellule formatesi e addestratesi anche grazie all’ausilio fornito dai siti fondamentalisti.

Nel quadro che stai fornendo un ruolo importante spetta alla Polizia postale e delle telecomunicazioni. Ma i progetti del governo si muovono in senso contrario, con la riduzione dei presidi operanti sul territorio nazionale.

L’aver dilatato l’ambito delle intercettazioni preventive includendo anche i reati con finalità di terrorismo consumati o tentati commessi con l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche costituirà un aggravio di impegni anche per la Polizia Postale e delle Telecomunicazioni che necessita, anche in questo caso, di un maggior numero di risorse aggiuntive, operazione in controtendenza con l’attuale progetto di riduzione di tali presidi operanti sull’intero territorio nazionale. Vedasi le nuove funzioni affidate oggi dal legislatore al Servizio di Polizia Postale e delle Telecomunicazioni che avrà, ex art.2 del decreto legge 7/2015, nuovi compiti e poteri in ordine alla gestione e all’aggiornamento di apposite “black list” dei siti utilizzati, anche, con finalità di terrorismo internazionale. L’individuazione dei siti “a rischio” sotto il profilo terroristico avrà, inoltre, un’ulteriore rilevanza anche dal punto di vista delle attività operative, vedasi quella “under cover” riguardando, in tal modo, sia il profilo investigativo che quello preventivo-repressivo.

Qual è oggi il compito della Polizia delle Telecomunicazioni sul versante del contrasto ad una simile minaccia?

La Polizia Postale ha oggi acquisito un importante ruolo relativo alle attività di monitoraggio e intervento nel settore telematico e informatico che prevede la possibilità di oscurare interi siti ma che comprende, anche, un più capillare monitoraggio di reti telefoniche, blog, mailing list, chat, newsletter, e-mail, un motivo in più per mettere in campo investimenti mirati su questa importantissima branca dell’intelligence.

Si può parlare  di  un radicale mutamento nelle tecniche di indagine?

La drammatica evidenza mostrata dagli efferati e gravi attentati terroristici a partire dall’11 settembre americano, culminati nelle stragi di Madrid, Londra, Parigi e Bruxelles avevano già indotto i più a ritenere che le trasformazioni del terrorismo globale non potevano più essere affrontate con le consolidate tecniche di intelligence occidentali e che, anche per le caratteristiche economico-finanziare di un simile fenomeno, si rendesse necessario un rapido cambio di passo, aspetto, questo, che merita la massima considerazione.

Il problema è quindi solo quello di andare a modificare legislazione e tecniche investigative o vi è dell’altro?  Guerre, lotte intestine, milizie a tutela di poteri dittatoriali, tribù che si massacrano.  Un quadro devastante. La Libia, l’esempio in negativo.

Come ho già detto in premessa, non è sufficiente agire solamente sotto questi due versanti perché non basteranno mai i soli interventi messi in campo dalla Polizia e dalla Magistratura (cosa che vale, peraltro, anche per il contrasto alla grande criminalità organizzata)  in considerazione di tutto ciò che avviene in quelle aree del mondo flagellate da guerre e lotte intestine. E’ inoltre impossibile pretendere di raggiungere un livello di sicurezza totale, questo sia per i motivi già enunciati, sia per le variabili mondiali che non permettono alcun genere di previsione nel medio-lungo periodo. La Libia ha infatti perso ogni unità statale ed è in mano alle milizie, alle tribù, ed ai vari clan in lotta fra loro anche perché questo conflitto riguarda qualcosa di molto consistente: i proventi del petrolio e i circa 70 miliardi di dollari accumulati all’estero dalla banca centrale libica, tutto questo è un ulteriore aspetto delicato quanto pericoloso, in particolar modo per la funzione di “controllo” delle frontiere.

Fai un quadro che porta dritti dritti al pessimismo, quasi non ci fosse più niente da fare, salvo rassegnarci, come si diceva una volta alla “convivenza” con il terrorismo.

Un efficace contrasto al terrorismo non è, in definitiva, risolvibile solo sul versante preventivo o repressivo e non lo sarà mai in nessun paese al mondo fino a che non risolveremo questioni da troppo tempo aperte e per le quali non si è, ad oggi, trovata alcuna soluzione come nel caso degli interventi a carattere umanitario o di integrazione dei tanti migranti che continuano a perire a causa della mancata istituzione di corridori umanitari. Un simile comportamento non si riscontra, peraltro, con quanto di recente messo in campo dal governo attraverso l’emanazione di un provvedimento anti-terrorismo che non stanzia sufficienti risorse per le forze di Polizia e che è carente, tranne che in pochi casi, rispetto all’adozione di misure efficaci nel contrasto al fenomeno eversivo internazionale. Purtroppo, mi sia permesso dirlo, anche questa volta il “tema della sicurezza” viene concepito e affrontato in maniera non sistematica ma in modo meramente “emergenziale” senza garantire, nel medio-lungo periodo, adeguate e concrete risposte rispetto alla sempre più crescente domanda di sicurezza dei cittadini.

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