
“Sono sempre di più gli elettori del Pd e del centrosinistra che stanno manifestando l’intenzione di votare No al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Pensiamo sia giusto rappresentare e sostenere le loro argomentazioni, con l’obiettivo di promuovere, nelle settimane che ci separano dal voto, occasioni di confronto coinvolgendo singoli cittadini, associazioni, organizzazioni che hanno già mostrato o che mostreranno l’intenzione di sostenere la campagna a favore del No”, con queste parole lanciate pubblicamente attraverso una nota stampa, Stefano Di Traglia, ex portavoce di Pierluigi Bersani, e il consigliere regionale Riccardo Agostini hanno aperto, dopo quella di D’Alema, un’altra breccia nel muro renziano del Partito democratico. Essi ci informano che nel circolo romano Pd di Testaccio, quartiere popolare nel cuore della capitale, si è dato vita al Comitato dei Democratici per il no, nel corso di una riunione, dicono gli organizzatori, molto partecipata. Naturalmente la subcommissaria del Primo Municipio, la parlamentare Elisa Simoni, cugina di Renzi (a Roma tutti i circoli sono stati commissariati per effetto delle indagini su Mafia Capitale e del tesseramento opaco), cade dalle nuvole e al quotidiano Repubblica si lamenta di “non essere stata informata e di non aver mai autorizzato comitati del no”. Certo, dopo aver dedicato le feste dell’Unità al sì, sembrava proprio che nel Pd ci fosse aria di regime e di dittatura della maggioranza, e che naturalmente non sarebbe stata accettata né la libertà di espressione né la costituzione dei comitati per il no dei democratici che si oppongono apertamente alla riforma Renzi-Boschi.
Il duro confronto atteso nella Direzione nazionale Pd del 10 ottobre
Tuttavia, dopo lo strappo esercitato da Massimo D’Alema, che ha fatto emergere un’area molto più vasta di oppositori della riforma nel Pd di quanto ritenesse lo stesso Renzi, questa iniziativa di Di Traglia e Agostini potrebbe avere il merito di stanare quella zona ancora grigia del partito che stenta a trovare una bussola verso il 4 dicembre. Costretti dalla proliferazione dei Comitati per il No dentro le mura renziane, Cuperlo e compagni dovranno finalmente esprimere pubblicamente un’indicazione di voto. Non esiste più l’alibi della riforma dell’Italicum, sul quale avevano puntato per barattare il loro sì nel referendum. E in vista della Direzione nazionale fissata per lunedì 10 ottobre, nella quale si dovrebbe discutere di sistemi elettorali, anche se Renzi difficilmente sarà disponibile a mettere mano all’Italicum prima del voto, dovranno finalmente scegliere, decidere, optare. Pena la loro marginalità politica. Questo è il momento dello scontro frontale, e molti all’interno del Partito democratico l’hanno capito, ed escono dalla clandestinità del no in cui erano stati trattenuti proprio per effetto dei tentennamenti dell’area di minoranza, che avendole sbagliate tutte, esce da questo confronto con le ossa molto rotte, con tante ferite, e un esercito in fase di smantellamento.
L’intensa attività nel Pd di elaborazione di una nuova legge elettorale. Prima votano l’Italicum, poi elaborano? Curioso
Non a caso in questi giorni è stata molto intensa l’attività di alcuni leader democratici proprio sul versante delle riforme elettorali, come se di proposte non ne fossero mai state presentate prima dell’Italicum. Così, per smarcarsi meglio strategicamente, è nata l’iniziativa degli “orfiniani” o ex giovani turchi di presentare una strampalata proposta di riforma elettorale “greco-turca” senza ballottaggio e con un premio di maggioranza di 90 deputati, che però ha bisogno di qualche riflessione da parte di un matematico, data la “complessità” dell’attribuzione. Poi, è stata la vota del senatore Federico Fornaro, molto vicino a Bersani, che ha elaborato una sorta di Mattarellum 2.0, alias Bersanellum, rivisitato e corretto col ritorno ai 475 collegi uninominali, con due premi di 90 deputati a chi vince, e 30 a chi arriva secondo, mentre di diritto di tribuna è garantito da 23 seggi. E resiste quella parte del Pd che vede nella riforma di alcuni punti dell’Italicum l’unica possibilità di cambiamento. Insomma, il solito caos di un partito che prima decide, su input del capo, poi capisce quel che ha deciso, infine si pente e cerca di correre ai ripari, quando però pare troppo tardi. Il caso dell’Italicum si abbina ora alla riforma costituzionale. Un eccellente servizio di un telegiornale ha svelato che alcuni parlamentari del Pd non conoscono la riforma da essi stessi votata per 3 volte alla Camera e 3 volte al Senato. Perché l’hanno votata? La risposta è talmente palese che ci permettiamo qui di ometterla. Le ragioni del voto dell’Italicum sono tutte, invece, nella scelta di Renzi di porre la questione di fiducia, per stringere i ranghi. Così è la vita nei gruppi parlamentari del Pd: prima uno decide e loro si accodano, i parlamentari vanno in televisione a difendere strenuamente ciò che hanno votato (sul canovaccio propagandistico elaborato dai guru di Palazzo Chigi), poi si pentono, fanno marcia indietro, elaborano, presentano disegni di legge alternativi, che tanto il capo non ammetterà mai.
La nota di Alfiero Grandi di benvenuto ai Comitati dei Democratici del no
Il vicepresidente del Comitato per il No alla riforma costituzionale, il cui presidente onorario è Zagrebelsky, ha affermato in un comunicato stampa: “Questa presa di posizione conferma che Renzi non solo sta spaccando il paese ma anche il suo partito. Ormai le posizioni per il No si susseguono. Il tappo è saltato e la conseguenza è che il Pd non è più un sostegno monolitico alla modifica della Costituzione. Questo è importante per il risultato del prossimo referendum e le speranze per la vittoria del No aumentano. Si tratta di una posizione rilevante perché conferma che dopo il referendum non ci sarà il pericolo del caos come il governo cerca di evocare, puntando a far passare le modifiche della Costituzione con un pesante ricatto verso elettrici ed elettori. Il nostro Comitato per il No ha sempre avanzato critiche severe ma di merito allo stravolgimento della Costituzione. Ora questa nuova presa di posizione interna al Pd conferma che abbiamo fatto bene ad insistere sul merito, dando un giudizio negativo, mentre è il governo che ne ha fatto un punto del suo programma piegando la Costituzione al rango di una legge qualunque, mentre dovrebbe essere una legge riconosciuta come fondamentale da tutti o quasi i cittadini”. Infine, prosegue Alfiero Grandi, “nei prossimi giorni stabiliremo rapporti di lavoro comuni anche con quest’area del Pd che si aggiunge allo schieramento per il No. Hanno ragione i firmatari, la modifica della Costituzione sta diventando un alibi per giustificare le difficoltà del governo e questo le rende ancora più inaccettabili. Se i firmatari del documento lo vorranno potranno trovare ospitalità nella festa promossa dal Comitato per il No a Roma il 14/15/16 ottobre per fare conoscere il loro punto di vista”.
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