Le Olimpiadi di Rio al via tra poche ore, tra crisi politiche, paure, doping, soldi che non bastano

Le Olimpiadi di Rio al via tra poche ore, tra crisi politiche, paure, doping, soldi che non bastano

Sport e politica si intrecciano spesso e volentieri, a scorno dei mistici della purezza olimpica che dal monte Elicona cantano la bellezza del gesto atletico incontaminato dalla miseria delle vicende umane. Vedremo a Rio de Janeiro, dove fra tre giorni prendono il via i XXXI Giochi Olimpici. L’Olimpiade è una straordinaria occasione di spettacolo sportivo, di celebrazione delle destrezze individuali e di squadra, ma è anche, ovviamente, e sempre più ovviamente, il palcoscenico ideale per chi voglia rappresentare ad una platea universale un punto di vista diciamo controverso.

Così, l’incrocio fra sport e politica fu clamoroso quando, nel 1980, decine di paesi del blocco NATO e dintorni boicottarono i Giochi di Mosca per protesta contro l’invasione russa in Afghanistan; sì, proprio l’Afghanistan, al quale, come noto, le potenze militari occidentali si sono sempre disinteressate. E quattro anni più tardi, il blocco sovietico disertò i Giochi di Los Angeles. Alla faccia dell’arcadico convincimento che la partecipazione olimpica è puramente individuale. Lo sport, e particolarmente quello olimpico, è una formidabile arma di propaganda politica. Hitler ne fece un uso smodato. Ma non rimane un caso isolato. Investirvi risorse serve, anche se agli intellettuali come Benedetto Croce piaceva deplorare l’entusiasmo per la muscolarità, notando che veniva esaltata “troppo larga parte nel costume e nell’interessamento al rigoglio e alla destrezza corporale, scapitandone al confronto le parti dell’intelligenza e del sentimento”.

Sempre in tema di contaminazione, nel 1972 ci fu la strage di Monaco: teatro scelto dai combattenti palestinesi per farsi intendere da un mondo sordo alle loro ragioni. E ancora quattro anni prima – e qui chiudiamo questo percorso a ritroso – la protesta studentesca a Città del Messico per i costi della Olimpiade fu ricondotto alla ragionevolezza costituzionale dalla democratica fucileria di Diaz Ordaz (centinaia di morti). Insomma, è più che comprensibile il timore che il nuovo protagonista della destabilizzazione democratica occidentale, ovvero l’IS (insomma il cosiddetto califfato) consideri i Giochi di Rio una ghiotta occasione di rappresentazione del terrore. Naturalmente c’è da augurarsi che non accada nulla di drammatico; e tra l’altro è da notare come il terrorismo jihadista di rado si manifesti dove è più atteso e prevedibile: preferisce colpire di sorpresa (e ci riesce). Ma il teatro brasiliano è talmente ampio e invitante che nessuna misura di tutela può apparire eccessiva. Se poi, l’apparato di sicurezza del Brasile si dimostrerà precario e balbettante come quello che ha materialmente organizzato i giochi e pianificato impianti e strutture, non ci sarà da stare troppo allegri.

 Ancora oggi la certezza che tutte le opere necessarie e programmate vengano completate in tempo utile – e bene – non c’è. Non sarebbe la prima volta nella vita dei Giochi. Questi di Rio difficilmente passeranno alla storia come i più magnifici Giochi della storia. Non solo per le accennate carenze organizzative, ma anche perché, da Londra in poi, qualche sforzo per smontare un po’ il trionfalismo olimpico – che rischia di dissanguare le risorse di qualunque paese organizzatore – è stato tentato. E il Brasile, in questo momento non versa affatto in eccellenti condizioni di salute. La mitologia del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), che qualche anno fa sembrava scardinare le certezze della globalizzazione a traino USA, si è un po’ sbriciolata: la crisi planetaria non ha risparmiato nessuno. E oggi il Brasile, mentre non può permettersi di perdere la faccia di fronte al mondo intero con una organizzazione deficitaria, non può neppure mettere in campo risorse che non ha. Sfida difficilissima. Che impegna il gigante dell’economia sudamericana proprio in una fase di traversie politiche, che investono direttamente la guida del paese.

Sempre a proposito, di estraneità dello sport dalle vicende politiche, i Giochi verranno inaugurati da Michele Temer, che non è il presidente brasiliano, ma il suo vice. Infatti, il presidente eletto, Dilma Roussef, è sospeso dalla carica, con voto parlamentare, dal 12 maggio. Un caso di impeachment che nasce da una inchiesta giudiziaria, che vede coinvolta la Roussef, per aver “truccato” i dati di bilancio. L’inchiesta è ancora in corso e sia la magistratura sia il parlamento brasiliano potrebbero revocare questa grave decisione proprio nei giorni in cui si svolgono le Olimpiadi. Vicenda torbida, anche perché i capi di accusa nei confronti della Roussef non appaiono affatto chiari e dimostrati (e in parte sono già caduti), che però getta un’ombra pesante sul mondo olimpico, perché Temer, punto di riferimento di una destra vogliosa di rivincita, punterà a intestarsi la gloria e i meriti di un auspicato successo dei Giochi.

Questo il quadro generale. Sul terreno più propriamente sportivo, va segnalato il superamento, ancora una volta, delle nazioni partecipanti. Saranno 207, tre in più rispetto a Londra. Da Atene (1896), quando i paesi partecipanti erano 14, il mondo non è aumentato. Ma sono aumentati considerevolmente gli stati nazionali. E soprattutto negli ultimi decenni. Curiosamente (ma non tanto) la globalizzazione ha fatto lievitare i nazionalismi. Non tutti di nobilissimo conio (non di rado le radici e l’identità nazionale sono pretesti per separatismi di comodo), ma che hanno frazionato vecchie unità statuali. Del resto, non è spiacevole che accanto ai giganti dello sport Come Stati Uniti, Cina, Germania, anche Russia (pur falcidiata in parte dalla crociata antidoping), possano gareggiare anche i rappresentanti di Tuvalu, isolette polinesiane abitate da meno di diecimila persone con vocazione sportiva ovviamente limitatissima.

 La crescita dei paesi partecipanti (e conseguentemente dei partecipanti) pone ovviamente problemi di calendario di gare. Sia per quanto riguarda il numero dei concorrenti in ciascuna specialità, sia per quanto riguarda la scelta delle discipline. Novità ce ne sono sempre. Discipline che scompaiono, altre che si affacciano per la prima volta, come il golf e il rugby a 7. Dovranno invece attendere ancora un quadriennio (Giochi di Tokyo del 2020) per fare il loro ingresso nel mondo dei cinque cerchi il baseball/softball, il karate, il pattinaggio in linea, il surf e l’arrampicata sportiva. Chi sarà sacrificato: quale dei vecchi sport dovrà cedere il passo, dal momento che il calendario non è dilatabile all’infinito?

 L’Italia sarà presente a Rio con poco meno di 300 atleti (297, a tutt’oggi), con qualche possibilità di figurare complessivamente fra le nazioni più forti (anche se Sport Illustrated, la rivista americana specializzata che alla vigilia di ogni Olimpiadi “assegna”, sulla base delle previsioni, le medaglie olimpiche, ci attribuisce solo sei medaglie d’oro). In quella che tradizionalmente viene definita la “regina dei Giochi”, cioè l’atletica leggera, avevamo due ottime probabilità di vittoria: il saltatore in alto Tamberi e il marciatore Schwazer. Ma il primo si è azzoppato proprio nella gara in cui ha stabilito uno straordinario primato (2,40) e il secondo è stato azzoppato dalla WADA (cioè l’agenzia antidoping) che lo ha sospeso per uso di sostanze anabolizzanti.

 La vicenda di Schwazer è particolarmente complessa e penosa. L’altotesino proclama la propria innocenza e ha invano richiesto di essere interrogato dal tribunale sportivo. La sua audizione è prevista nei prossimi giorni, a Giochi in corso. Difficilmente ci saranno novità, purtroppo per Schwazer, che comunque è partito per Rio, con la ferma intenzione di gareggiare (nella 50 chilometri non ha rivali). Su questo caso pesa e peserà, oltre alla goffa e irregolare gestione da parte della Wada, anche il forte sospetto di manovre oscure, alle quali non sarebbe estranea neppure la mafia (la mafia delle scommesse quantomeno).

 Il doping è la vera frontiera dello sport. L’accentuarsi di misure preventive e di controllo è servito e serve a smascherare qua e là i più improvvidi. E’ di ieri l’esclusione della beachvollista italiana Viktoria Orsi Toth, trovata positiva il 19 luglio per uso di Clostebol. Questo prodotto farmaceutico, uno steroide anabolizzante derivato dal testosterone, è l’ultima chicca dell’industria farmaceutica (quella che ha stampigliato nel logo il noto motto decoubertiniano “l’importante non è vincere, ma partecipare”) e pare se ne faccia largo uso. Anche la velista Caputo se ne avvaleva, mentre il canottiere Mornati preferiva l’astrozolo. Questo, almeno, risulta dall’esito dei controlli ufficiali. Questi atleti resteranno a casa. Per gli altri circa 300 la sfida sta per cominciare. Tolti Tamberi e Schwazer, l’Italia non è comunque disarmata: non lo è nel nuoto in piscina (l’inossidabile Pellegrini e i mezzofondisti Paltrinieri e Detti) e nel nuoto in acque libere (Ruffini); non lo è nella scherma (particolarmente nel fioretto femminile), nelle gare di tiro a volo (l’olimpionica uscente Jessica Rossi) e in quelle di tiro a segno, nel judo e nella lotta, nelle discipline remiere. E altro.

Ma di questo si parlerà nei prossimi giorni.

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