
È vero che il ridicolo non ha limiti, ma il troppo stroppia recita un noto proverbio per indicare, dice l’Accademia della Crusca, la negatività di ogni eccesso. Renzi non lo sa, figuratevi se può perdere tempo con l’Accademia. Lui le spara grosse, poi si vedrà, tanto i giornalisti digeriscono tutto, sono di “sua “ proprietà. Essendo il presidente del Consiglio, per la proprietà transitiva, imparata alla scuola media, pensa di essere anche il presidente delle società editrici dei giornali. Alla Rai ha messo Dall’Orto che fa il bello e il cattivo tempo e manda in onda “la Costituzione più bella del mondo”, un replay un po’ costoso ma che farà felice il suo capo, Matteo il grande. Pensate che colpo, cambiare il gioiello descritto da Benigni, quello che prese in braccio Enrico, di cognome Berlinguer. In tutto il mondo si sarebbe diffusa la notizia, gli scriba e i parlatori avrebbero provveduto, lui Matteo il grande avrebbe brillato di luce propria. È accaduto così che agli scriba che ritiene, con qualche ragione, di sua proprietà, abbia propinato per quasi un’ora una lezione di giornalismo, certo che le sue parole sarebbero state accolte con oh, oh di meraviglia.
I media censurano il cardinal Bagnasco “reo” di aver parlato di povertà e disoccupazione
Del resto, mentre erano in corso le votazioni per eleggere i sindaci di poco più di 1300 comuni, elettori ben 13 milioni, di cui 25 capoluoghi tra cui le grandi città, il cardinal Bagnasco, presidente della Cei celebrava la messa per il lavoro e diceva rivolto al pubblico presente nella chiesa: “Mentre la platea dei poveri si allarga inglobando il ceto medio la ricchezza cresce e si concentra in mano di pochi. Auspico che la concentrazione di risorse incrementi copiosamente gli investimenti in attività produttive”. Proseguiva l’alto prelato che non è un seguace di Maurizio Landini, quello scavezzacollo che turba i sogni di Renzi: “La povertà tocca 4 milioni di italiani, quasi il 7%. Per il lavoro serve un miracolo, la disoccupazione cresce. Il lavoro non decolla nonostante alcuni segni che sembrano positivi e dichiarazioni rassicuranti”. Concludeva: “Sui migranti l’Italia cerca di fare il più possibile. Nessuno può dire nulla contro l’Italia. Serve l’Europa”. Parole registrate con tanto di telecamere. Ma in video, nei tg, a partire dal Tre ne sono andate poche di parole. Anche il cardinale è stato censurato. Viene tagliato l’accenno alla disoccupazione, alla povertà, al lavoro che non decolla. Si parla solo del “miracolo” e si riporta il ruolo che il nostro paese svolge per soccorrere i migranti. Meglio tagliare per non turbare gli elettori.
La nottata senza risultati. Un vecchio trucco del Viminale per non far circolare le notizie
E Renzi Matteo, forte di questa prova di affetto da parte degli scriba, si è presentato in conferenza stampa quasi un monologo, ed è andato oltre il limite del possibile, del pensabile. Perfino gli scriba sono rimasti allibiti, basiti, parola che ci piace tanto. L’ avevano lasciato che aveva la rabbia in corpo per i risultati negativi che il ministero dell’Interno forniva con il contagocce. Davano il Pd in forte regresso, bisognava passare la nottata in modo che stampa, radio e tv, non potessero raccontare, con la forza dei numeri, come avevano votato i cittadini italiani. Una volta c’era “L’Unità” che con la rete dei suo corrispondenti e dei segretari delle sezioni del Pci, arrivava sempre prima del ministro. Ma quell’Unità non c’è più. Bisogna accontentarsi delle “nottate” televisive, fra exit polls, dichiarazioni raccolte alla uscita dai seggi, proiezioni. E quando i giornali sono già usciti, le telecamere a nanna, cominciano ad arrivare i dati. Renzi però li conosceva e non portavano niente di buono al suo mulino. Perciò niente conferenza stampa, niente giornalisti.
Al Nazareno l’ira del premier. Ordina silenzio stampa a partire da Giachetti e tutti a casa
Raccontano i retroscenisti che al Nazareno, segreteria al completo, più il sottosegretario Nannicini, come il prezzemolo, abbia fatto barba e capelli agli uomini, alle gentili signore qualche buffetto. Per tutti il silenzio stampa. In particolare Roberto Giachetti, capace di farsi distaccare di una decina di punti dalla grillina ruspante, l’avvocato che ha vinto il primo round, Virginia Raggi, via a casa sulla moto più presto possibile. Anche Sala, a Milano, che prevale per una incollatura sul candidato del centrodestra, Parisi, niente conferenza stampa. Si spengono le luci del Nazareno. Resta la brava Sardoni che Mentana, conduttore su La 7 di una “serata” elettorale degna di questo nome, alla ricerca di Giachetti. Il quale non aveva trovato di meglio che attaccare per l’esito non proprio brillante della sua perfomance. Solo Piero Fassino, da Torino, sul quale Renzi puntava ad un’elezione al primo botto, si faceva intervistare e parlava di influenza negativa sui risultati elettorali della crisi sociale che il Paese stava vivendo. Poi ritrattava e si allineava al premier-segretario raccontando che si trattava di un successo. Non ci crede neppure lui, ma così va il mondo. Dal canto suo Ignazio Marino rispondeva per le rime al presidente-segretario. “Il risultato del primo turno a Roma – affermava – propone con forza il problema di un Partito Democratico che ha rotto il proprio rapporto con la città”.
Il silenzio del Viminale ma Mentana non mollava e proseguiva la diretta
Fine della nottata. Mentana proseguiva imperterrito. Dal Viminale stanze deserte, comunicazioni di fatto interrotte. E Mentana faceva lavorare il sondaggista Masia. La verità sul voto, a fatica, veniva fuori. Il Pd aveva subito una sonora sconfitta. Al mattino Renzi Matteo, fresco come una pasqua, magari l’occhio fra lo stanco e lo spento, teneva una “lectio magistralis” ai giornalisti e spiegava loro che “non sono contento, perché noi vogliamo di più”. Ma Napoli con il sostegno di Verdini e la candidata Pd che non va neppure al ballottaggio, stracciata dal perfido De Magistris? Niente paura, basta commissariare il partito e guarda Orfini. Sorride l’ex giovane turco ma non la prende bene. Lui presidente del Pd e commissario della federazione romana ha ridotto il partito al 17%. La Raggi ha preso 453 mila voti, il 35,4 e il Pd 200 mila, dal 26% scende al 17. Renzi non batte ciglio. Afferma che il Pd ha ottenuto ottimi risultati, i voti oscillano fra il 35 e il 40%. Sono un segnale per i gufi del no al referendum. Quello sarà il vero banco di prova. Conferma, se perdo me ne vado, ma “non perdo”.
Lo spaccone annuncia: “Abbiamo vinto in mille Comuni”. Dove? Quando?
Sui 1342 comuni dove si è votato “abbiamo vinto in mille, a riprova del nostro radicamento sociale”. I giornalisti sono allibiti, non è neppure il caso di fare domande. Lui, lo spaccone, insiste. A Cagliari abbiamo vinto al primo colpo, il Pd ha ottenuto un buon risultato, molto buono. Dimentica che Zedda non è uomo del Pd e che ha vinto l’alleanza che vede insieme Dem e Sel-Si con l’appoggio del Partito sardo d’Azione. Per quanto riguarda il “buon” risultato del Pd si tratta del 19%. Nessun commento. Ci viene a mente, mentre ascoltiamo il comizio di Renzi, un episodio, piccolo ma non troppo, che ha avuto per protagonista proprio lui. In Toscana c’è un comune, Sesto fiorentino, roccaforte rossa, chiamato anche “Sestograd”. Viene sfiduciata con il voto di consiglieri Pd la sindaca Pd, Sara Biagiotti perché “troppo renziana”. C’è uno scontro politico nel Pd .Diventa un caso nazionale.
La “sconfitta ” di “Sestograd”, un piccolo ma significativo episodio del renzismo
Ci pensa Matteo. Nuove elezioni e nuovo candidato, sempre un “renziano”, Lorenzo Zambini, ci mancherebbe. E lui lo va a trovare, proprio poco prima del voto, certo di andare sul sicuro, gli fa gli auguri, abbracci e baci. I cittadini di “Sestograd” gli regalano un’amara sorpresa. Il suo candidato prende solo il 32,56% dei voti, andrà al ballottaggio con Lorenzo Falchi, una lista civica sostenuta da Sel-Sinistra italiana con il 27,4%. Terza arriva una lista targata Rifondazione con il 19%. Renzi stia sereno. Il 19 giugno è vicino.
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