
“Mi aspettavo qualcosina di più, ma è un segnale importante, un successo per tutto il Paese”: così Renzi Matteo commenta il carteggio fra ministro per l’Economia e Bruxelles. La “lettera” della Commissione europea è arrivata al ministro Padoan e il premier subito lancia il grido di vittoria. “Abbiamo la flessibilità”, sembra fare il verso ad un avvenimento straordinario della Chiesa quando annuncia “Habemus papam”. E snocciola qualche numero: viene riconosciuta all’Italia per il 2016 “una flessibilità nella gestione della programmazione economico-finanziaria pari allo 0,85% del Pil, che consente al governo – dice Padoan – di implementare il percorso di aggiustamento delle finanze pubbliche e al tempo stesso di sostenere la ripresa e stimolare la crescita, condizione chiave per la riduzione del rapporto debito/Pil”. Si tratta dunque di uno ‘sconto’ sulla correzione di bilancio nell’ordine dei 14 miliardi a valere per il 2016. Avevamo chiesto un punto netto di Pil quindi ci siamo, ha ragione Renzi. Non è così. Perché c’è il rovescio della medaglia che viene tenuto nascosto. O meglio, si mettono insieme numeri, si mischiano numeri veri e previsioni, con l’Istat che gioca un ruolo essenziale per confondere le acque tanto che i media trovano facile terreno per nascondere la realtà dei fatti. La Commissione europea ha messo le carte in tavola: io ti do e tu mi rendi. Niente scherzi e ringrazia se abbiamo superato i veti della Germania sulla quantità di flessibilità da concedervi. Lo sanno bene Renzi e Padoan che non è tutto oro quel che riluce. Neppure bronzo, è una medaglia di legno come nello sport si chiamano quelle ipotetiche per chi arriva quarto.
Dalla Commissione Europea un messaggio chiaro: niente più flessibilità illimitata
La Commissione europea ha inviato un messaggio chiaro che riguarda la legge di stabilità per il 2017 da approvare in autunno: niente più flessibilità illimitata, niente più decisioni unilaterali sull’aumento dell’indebitamento netto per finanziare le proprie promesse politiche. Per ottenere l’ok di Bruxelles ai 14 miliardi di maggiore deficit quest’anno il governo ha dovuto impegnarsi rispetto a quanto scritto nel Documento di Economia e Finanza ad aprile: il deficit non deve salire oltre l’1,8%, dall’1,4% tendenziale. Entriamo nel labirinto dei numeri e delle indicazioni che arrivano da Bruxelles. Il conto della prossima manovra è già lievitato a 10 miliardi prima ancora che la discussione sulla prossima legge di stabilità sia cominciata. C’è in ballo la clausola di salvaguardia, 15 miliardi, sull’Iva, previsti per il prossimo anno. Il deficit “autorizzato” dalla Ue coprirebbe soltanto 7 miliardi, gli altri 8 sarebbero tutti da trovare. Ancora: le previsioni della Commissione si scostano lievemente da quelle del governo, e la Ue prevede che l’indebitamento netto si attesti a -1,9% rispetto al -1,8%, il governo deve mettere in conto già una mini correzione da 1,6 miliardi.
Tutti gli annunci del governo, bonus, sgravi fiscali, welfare, pensioni non sono finanziati
Da questi dati emerge una considerazione banale: tutti gli annunci del governo, flessibilità sulle pensioni, bonus bebè e altri, riduzioni delle tasse, welfare a favore delle famiglie, soldi alle imprese, insomma tutta la massa degli annunci dovranno essere finanziati, i soldi non ci sono. Il dilemma, o tagli di spesa o aumenti delle tasse. Il deficit non si può toccare. La manovra precedente è stata finanziata proprio per metà, 17 miliardi, uno più uno meno, dal deficit. Fatti i conti sono solo 6 miliardi o giù di lì quelli utilizzabili come deficit. Allora? C’è da evitare una “deviazione significativa” dagli impegni presi: “Affrontare questo è essenziale”, indicano il vicepresidente della Commissione Dombrovskis e il commissario Moscovici. In sostanza, per raggiungere l’1,8% di deficit/Pil nel 2017 serviranno impegni ulteriori da 2,5 a 3,4 miliardi. Si capisce perché Renzi voleva più flessibilità. Ora fa buon viso a cattiva sorte. Gli dà conforto l’Istat che prevede un futuro luminoso. La stima preliminare del Pil per il primo trimestre 2016 (+0,3%) “ha confermato, seppure con intensità moderata – afferma l’Istituto – il proseguimento della fase espansiva dell’economia italiana avviatasi agli inizi dell’anno precedente”. Parla poi di “alcuni dei fattori a supporto della crescita quali il basso livello dei prezzi dell’energia, la riduzione dei tassi di interesse e il graduale miglioramento della fiducia tra gli operatori sono attesi produrre i loro effetti anche nell’anno corrente”. Non può negare che rispetto alle stime di novembre scorso, tuttavia, le nuove previsioni di crescita sono state riviste al ribasso di 0,3 punti percentuali. Poi parla di una “spinta all’aumento dei consumi” che arriverà anche dal calo del tasso di disoccupazione atteso in discesa all’11,3% dall’11,9% dello scorso anno. Per registrare la fine della deflazione, oggi a -0,5%, bisognerà attendere l’autunno. Ancora , miglioramento del tenore di vita delle famiglie, ripresa degli investimenti, positivi risultati per il mercato del lavoro. Che si vuole di più?
Previsioni Istat auspicabili ma deve cambiare politica economica nazionale e europea
Risponde la Cgil, con il quinto numero dell’Almanacco: “Le previsioni dell’Istat sul Pil sono auspicabili, ma purtroppo difficilmente si realizzeranno senza un vero cambiamento della politica economica nazionale ed europea”. A oggi, con “l’economia della rassegnazione del governo”, le previsioni rischiano di risultare “troppo ottimistiche”, così come ci indicano alcune stime: “L’inedita spinta degli investimenti fissi lordi +2,7% e dei consumi privati +1,4% sembra irrealizzabile senza un importante contributo della domanda pubblica, che però dovrebbe crescere solo dello 0,2% nel 2016, dopo anni di segno meno. Non a caso – prosegue il rapporto – le previsioni indicano un tasso di disoccupazione ancora pari all’11,3% a fine anno”. Nei primi mesi dell’anno “la crescita globale ha perso slancio e l’economia del nostro paese ha segnato solo un rimbalzo, classificandosi all’ultimo posto per la crescita del Pil fra tutte le principali economie industrializzate”.
Nel dettaglio si evidenzia una variazione del Pil nel primo trimestre 2016 maggiore rispetto al trimestre precedente (+0,3% contro +0,1%), ma più contenuta rispetto allo stesso periodo del 2015 (+1,0% anziché +1,1%). Infatti l’andamento degli indicatori della produzione, del fatturato e degli ordinativi appare favorevole solo mese su mese, mentre rallenta su base annua, senza contare l’enorme distanza dal livello pre‐crisi. Diversi indici dei prezzi, spiega l’Almanacco, registrano una dinamica tendenziale negativa per il terzo mese consecutivo. La deflazione insiste perché la crisi di domanda persiste, nonostante il potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali si mantenga positivo grazie anche alla riduzione dei prezzi del petrolio e, in generale, dell’energia. “Occorrerebbe – conclude il sindacato – aumentare la quantità e la qualità del lavoro come della produzione per creare valore aggiunto, anziché abbassare salari, occupazione e diritti, così come previsto dal governo”.
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