Caso Regeni. Venerdì i funerali a Fiumicello. Il punto sulle indagini. La lotta per la libertà della ricerca

Caso Regeni. Venerdì i funerali a Fiumicello. Il punto sulle indagini. La lotta per la libertà della ricerca

Si cerca ancora, dopo diversi giorni, di fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni, che continua ad essere oggetto di accesa trattazione e discussione sui media di tutto il mondo. In Egitto le indagini proseguono e sono stati messi al vaglio dagli inquirenti i filmati delle telecamere che riprendono la zona di El Dokki, quartiere in cui viveva il giovane ricercatore, per analizzare possibili movimenti sospetti che aiutino a capirci meglio su quanto accaduto. I filmati però non hanno ancora fatto luce sulla vicenda, mentre le telecamere piazzate nel quartiere El Behoos, sembrano confermare quanto in precedenza supposto, ossia che Regeni non è mai passato di lì e, di conseguenza, non è mai arrivato il 25 gennaio all’appuntamento che aveva per le ore 20. Nell’informativa, inviata dall’Egitto alla Procura di Roma, si possono leggere i risultati degli accertamenti eseguiti dagli investigatori, dai quali emergerebbe un quadro tranquillo sulla vita che il giovane friulano conduceva nel Paese, fatta di incontri con ricercatori, docenti e studenti come lui, senza particolari contatti pericolosi o attività illecite, come era stato affermato e poi smentito a piena voce dal ministro dell’Interno egiziano, Magdi Abdel Ghaffar. Nella nota inoltre si legge che “non vi è nessun elemento che colleghi la morte di Giulio Regeni a una rapina”.

Intanto prosegue l’esame dei contenuti del computer portatile di Giulio, consegnato alle autorità italiane, mentre ancora nessuna traccia del telefono cellulare. La Procura di Roma, a questo proposito, tramite rogatoria internazionale, ha richiesto alle autorità del Cairo tutte le informazioni possibili sui tabulati relativi alle celle telefoniche alle quali risultava agganciato il cellulare di Regeni poco prima della scomparsa. A rendere tutto più difficile, come se non bastasse, emerge un inquietante risvolto. Secondo la denuncia di Mona Seif, sorella del famoso dissidente incarcerato, Alaa Abd El-Fattah, è stato rivelato che l’investigatore assegnato al caso di Giulio Regeni è stato a sua volta indagato per torture. Khaled Shalaby venne condannato nel 2003 per aver falsificato rapporti di polizia e per aver torturato un uomo, fino a ucciderlo, insieme ad altri due poliziotti. La sentenza venne poi sospesa. Tale particolare era rimasto in sordina fino a quel momento e ci si chiede se questo non fosse stato fatto nel tentativo di una copertura da parte delle autorità egiziane e degli inquirenti stessi.

Per la giornata di venerdì 12 febbraio sono previsti i funerali di Regeni a Fiumicello, dove sono attese migliaia di persone. Parteciperanno alla cerimonia il presidente della Commissione Affari Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, e la presidente del Friuli Venezia Giulia, Deborah Serracchiani. La famiglia Regeni ha chiesto “a quanti parteciperanno venerdì al funerale di Giulio di farlo individualmente, nella condivisione personale del dolore, senza ostentare vessilli, bandiere, slogan o qualsiasi altro simbolo che richiami qualcosa di diverso dall’essere persone che si stringono intorno ad altre persone”. I familiari, “nel ringraziare tutti e in particolare la comunità di Fiumicello per la solidarietà e l’affetto dimostrati”, hanno rinnovato “la preghiera ai mezzi di informazione di non utilizzare telecamere, fotocamere né qualsivoglia mezzo di ripresa audiovisiva per tutta la durata della cerimonia”.

Al di là della drammatica vicenda di Giulio Regeni, tutto ciò offre spunti di riflessione. In Egitto le minacce nei confronti della libertà accademica sono decisamente più concrete, rispetto ad altri Paesi. Sono tanti i casi di intellettuali, ricercatori e accademici scomparsi nel nulla e dei quali nulla si sa.

Ficcante il commento di Huffington Post: “Dobbiamo liberare le nostre università e le nostre istituzioni scolastiche dalla supervisione delle agenzie di sicurezza. Dobbiamo distinguere la mobilitazione pubblica dalla statistica, perché qualunque ragione ci fosse a unirle non esiste più da tempo. Lo stato e la società devono guardare alla ricerca universitaria come ad una necessità, non un semplice lusso, e la libertà accademica dev’essere ritenuta essenziale allo sviluppo della società. Lo stato e la società devono imparare che tutte queste non sono parole occidentali che noi andiamo ripetendo a pappagallo. Gli accademici — che siano studenti o docenti — devono attenersi ai principi della libertà accademica, e pretendere d’esser liberati dai vincoli e dalla sorveglianza imposti dagli apparati statali. Gli apparati statali dovrebbero invece aiutarli a portare avanti il loro lavoro, facilitandone il compito. In assenza di tutto ciò, se non terremo duro sulla libertà di ricerca e d’espressione, ci renderemo tutti vulnerabili a un destino tragico e cruento”.

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