
L’annuncio ufficiale della vittoria del partito guidato dal premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi alle prime elezioni libere da 25 anni in Myanmar (ex Birmania) è finalmente stato comunicato venerdì 13 novembre: è stata conquistata la maggioranza assoluta dei due terzi che consentirà un cambiamento politico e costituzionale inedito. La Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung, ha ottenuto 348 seggi, e nonostante la presenza imposta per legge di un quarto di parlamentari provenienti dalle forze armate e non eletti, potrebbe farcela a governare senza problemi.
L’ampiezza della vittoria ha sorpreso perfino i capi del partito e la stessa Aung. “Eravamo convinti di aver vinto”, ha detto il portavoce, “ma quasi col 60% dei voti. Invece ci siamo ritrovati con l’80% dei voti e dei seggi”. E mentre i voti continuavano ad affluire, molto lentamente, il regime uscente prometteva una transizione pacifica. La stessa Aung, convinta della vittoria, ma non delle dimensioni, aveva già sviluppato colloqui con i tre dirigenti principali del Paese – il generale Min Aung Hlaing, il presidente Thein Sein e l’influente presidente del Parlamento Shwe Mann – per definire il futuro del Paese.
Nonostante la vittoria, San Suu Kyi potrebbe avere un impedimento di natura costituzionale – scritta su misura dei militari al potere – per diventare presidente del Nyanmar. La Costituzione vieta a chiunque sia sposato con cittadini stranieri e abbia figli con cittadinanza estera di presentarsi alle elezioni. Aung ha sposato un cittadino britannico e i suoi due figli sono cittadini britannici. Pertanto, la premio Nobel ha già annunciato che a breve farà il nome del suo candidato. “Il prossimo presidente dovrà comprendere perfettamente”, ha detto Aung, “che non avrà alcuna autorità personale e che dovrà piegarsi alle decisioni del partito”.
Resta la questione del compromesso necessario col potere militare, che resta forte e presente anche nelle Istituzioni birmane. Molti posti chiave sono ancora detenuti da militari. La “rivoluzione dolce” di Aung San Suu Kyi avrà bisogno di tempo, pazienza e strategie politiche per realizzarsi.
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