
Minuto per minuto, la Costituzione della Repubblica italiana, antifascista, nata dalla Resistenza, viene offesa, ferita. È un dibattito, quello che si svolge nell’Aula di Palazzo Madama, avvilente, la politica, nel senso più alto della parola sconfitta, il Parlamento che, man mano che vengono votati i singoli articoli, perde significato, prevale, sempre e comunque l’esecutivo, il bastone di comando nelle mani di Renzi Matteo, di un ristretto gruppo di potere che è difficile definire “governo”. Piccoli uomini e piccole donne decidono, cassando una parola, l’approvazione di un articolo, il 17 che consegna la decisione di partecipare a una guerra, di proclamarla addirittura, alla “maggioranza assoluta” della Camera. Ma, chiedeva la minoranza Dem, che a queste due parole venisse aggiunto “dei componenti”. Sembra una sottigliezza ma non è così perché così come è scritto l’articolo approvato, la maggioranza assoluta può anche essere solo dei presenti in aula. Basta ci sia il numero legale. Neppure per un attimo si è pensato che poteva essere necessario parlare di maggioranza qualificata.
La “manina” di Forza Italia in aiuto alla maggioranza che non c’è. “È tornato il Nazareno”
No, è intervenuta Anna Finocchiaro, gestore in prima persona di questa avvilente partita, sotto tutela della ministra Boschi, ed ha ordinato, di fatto, alla minoranza del Pd di ritirare l’emendamento. Ordine ricevuto, ordine messo in atto. L’emendamento è stato fatto proprio da altri senatori. È stato respinto con il voto degli esponenti di Forza Italia che hanno dato un “aiutino” alla maggioranza, di nome, perché voto dopo voto non raggiunge mai la maggioranza assoluta malgrado i verdiniani. “È tornato il Nazareno – affermano alcuni leghisti – Forza Italia si sta verdinizzando”. E con questo voto si spaccano anche le opposizioni. La lettera da inviare al Capo dello Stato alla fine non è stata mai mandata. Si dava il quadro della gravità della situazione, della impossibilità di svolgere un vero dibattito, un confronto democratico, con un duro giudizio anche sull’operato “di parte” del presidente Grasso. La lettera “unitaria” alla fine non è mai partita. I grillini hanno chiesto un incontro a Mattarella, Forza Italia ha inviato una lettera, I leghisti hanno lasciato l’Aula nel momento del voto degli articoli, i grillini non hanno partecipato al voto, Sel ha deciso di ritirare tutti gli emendamenti. Questo il risultato della arroganza del Pd, della teoria dell’uomo solo al comando. Uno sfregio alla democrazia parlamentare.
L’Aula di Palazzo Madama, lo scenario di un governo sempre più in difficoltà, ricorre all’autoritarismo
Lo scenario che ci offre il Senato è l’immagine perfetta di quanto sta avvenendo nel Paese con un governo sempre più in difficoltà, il Pd renziano alla ricerca di compromessi con i suoi alleati, gli Alfano e i Casini che sempre più si fanno esigenti. Un clamoroso esempio viene dal nuovo testo del disegno di legge sulle unioni civili a firma di Monica Cirinnà e di tutti i componenti dem della Commissione giustizia che dovrebbe essere incardinato al Senato subito dopo la conclusione dell’attuale dibattito. Sono scattati Maurizio Lupi, Sacconi, Paola Binetti, Schifani, hanno parlato di “utero in affitto”. Il testo ora presentato è stato cambiato proprio per venire incontro agli alleati di governo. Addirittura sembra non si usi neppure la parola “matrimonio” ma “formazioni sociali”. Possiamo andare avanti con la allucinante vicenda che riguarda la partecipazione o meno con nostri quattro, diconsi quattro, aerei per intervenire in Iraq. Nel frattempo la velina di Palazzo Chigi fa sapere che il governo sta preparando un decreto sulla rappresentanza dei sindacati, sul diritto di sciopero, sulla contrattazione, secondo i desideri di Confindustria.
Non c’è da meravigliarsi se il Pd, con i suoi piccoli alleati, sta ferendo la Costituzione grazie al sottobosco verdiniano che gli assicura la maggioranza ma non quella assoluta di 161 voti. Gli emendamenti delle opposizioni, appena si va al voto segreto, vengono respinti con 143, 144 voti. In nessun paese democratico si può stracciare la Costituzione da parte di una minoranza.
Le responsabilità della minoranza del Pd che ritira gli emendamenti e si spacca
Questo sta avvenendo. E la minoranza del Pd, che ha trovato anche il modo di spaccarsi, si sta assumendo una responsabilità molto grave, perde la faccia quando ritira emendamenti importanti a due articoli, il 21 che riguarda l’elezione del Presidente della Repubblica e il 39, la norma transitoria che deve assicurare, per legge, l’elezione dei senatori-consiglieri da parte dei cittadini. I senatori della minoranza hanno improvvisamente scoperto che l’articolo votato dalla Camera va bene. Ma loro avevano presentato emendamenti proprio a quell’articolo perché del testo votato da Montecitorio si sta discutendo con il diktat di Renzi, trasmesso da Boschi, niente deve cambiare. L’articolo in questione è stato approvato con 161 voti grazie sempre ai verdiniani e qualche Forzitaliota arruolato in servizio permanente effettivo. Forse si è scambiato il ritiro degli emendamenti con l’assicurazione che il governo farà in modo che la legge elettorale assicuri il voto dei cittadini.
Vincere, noi vinceremo, l’inno renziano. Ma non è un segno di forza, solo paura di perdere
Si vedrà quando questo articolo andrà in discussione. Come dice il poeta, del doman non c’è certezza. Però, a pensar bene, una certezza queste giornate di dibattito, di scontro, la sta dando: l’arroganza di una maggioranza che rifiuta il confronto, che dice no a prescindere, non entra nel merito. Neppure il ritiro degli emendamenti da parte delle opposizioni, la decisione di intervenire solo per dichiarazioni di voto, assicurando, di fatto, la rapidità del dibattito che potrebbe chiudersi anche prima del 13 ottobre, ha spostato di un millimetro la posizione della maggioranza: no sempre e comunque. Vincere, noi vinceremo… l’inno renziano, ma non è un segno di forza. È solo paura di perdere. La minoranza del Pd non l’ha capito e ha tirato i remi in barca. A volte, senza remi, si sbatte sugli scogli. Cosa che non auguriamo. Perché non siamo gufi. I gufi stanno proprio dall’altra parte.
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