
Recita Wikipedia: il Gatto e la Volpe sono due personaggi immaginari del libro “Le avventure di Pinocchio, storia di un burattino” di Carlo Collodi. Essi campano di elemosina e inganni, infatti il protagonista Pinocchio è vittima dei loro raggiri. Il Gatto si finge cieco per aver studiato troppo, così come la Volpe che si finge zoppa per il medesimo motivo. Renzi Matteo e Padoan Pier Carlo, premier l’uno, ministro l’altro scelgano loro chi sia il gatto e chi la volpe. Per quanto riguarda la parola elemosina si potrebbe intendere l’elemosina che fanno gli elettori quando eleggono taluni personaggi. Ma loro non sono stati neppure eletti. Resta la parola inganni nei confronti dei cittadini a meno che non si provi il contrario. Ogni giorno i due si occupano di flessibilità delle pensioni, la possibilità di anticiparne la data. Il presidente del Consiglio dà per certo che nella legge di stabilità il problema sarà affrontato.
Il ministro: la flessibilità sulle pensioni costa, chi paga e come
Il ministro dell’Economia invece fa sapere che non ci sono i soldi e afferma: “La flessibilità costa. Si deve sapere a chi attribuire questi costi e come, altrimenti il bilancio sballa”. Di nuovo Renzi: “Ci sarà, ci sarà la flessibilità perché il ministro è fra i più sensibili sull’argomento”. Timidamente interviene il presidente della Commissione lavoro della Camera, Cesare Damiano, che di buone proposte ne ha un cestello: “Se si fa pagare la tassa sulla casa, la famigerata Tasi, a chi può, le risorse si possono cominciare a trovare”. Sempre Damiano ha fatto anche dei calcoli, non smentiti, secondo cui a lungo andare l’operazione sarebbe quasi a costo zero. Ma come è noto Renzi a sentir paralare di Parlamento viene colto da gravi attacchi allergici per cui le proposte di Damiano finiscono sempre in uno dei cassetti che non si apriranno mai, come avviene per le proposte di legge di iniziativa popolare. Il ministro, “sensibile”, avverte le critiche nei confronti del governo, di Renzi in primis, acerrimo sostenitore del via la tassa sulla casa per tutti, ricchi e poveri. E fa sfoggio del suo essere economista di grande prestigio. Ed economista lo è davvero ed anche di grande prestigio essendo stato, nella sua importante carriera, direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale e capo economista dell’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che effettua studi per i paesi sviluppati, governi democratici ed economia di mercato. Vediamo che dice il ministro: “La critica degli economisti è che abolire la tassa sulla casa sia meno efficiente che abbattere le tasse sul lavoro. È vero in generale – ammette – ma l’abbattimento della Tasi è più efficiente perché riguarda l’80% degli italiani”.
Una bufala: l’abbattimento della tassa sulla casa restituirebbe fiducia agli italiani
Dice che “restituirebbe fiducia ai proprietari di case, elemento fondamentale per la ripresa dei consumi e che, sia pure indirettamente verrebbe incontro alla necessità di sostenere l’industria italiana delle costruzioni, uno tra i pezzi dell’economia italiana che risulta ancora in ritardo”. Ma come, signor ministro, lei pensa che si debbano costruire ancora case, quando ce ne sono sfitte un numero infinito. Ha mai dato un ì’occhiata nei pressi dell’autostrada che porta a Fiumicino? Case in costruzione non mancano, sono tutte in fila, chilometri di fila.
Ma veniamo alla sostanza delle tesi del ministro. Se le sostenesse uno studente al primo esame di Economia verrebbe sicuramente respinto, con ignominia. Forse il professore gli darebbe un consiglio, cambi facoltà. Forse a pensarci bene la sua tesi trova conforto fra i conservatori, i paladini dell’austerità. Il ministro sa che il risparmio annuale per chi ha una casa normale è ben poca cosa, meno di cento euro. Non sarà questa la leva per il rilancio dei consumi, per la ritrovata fiducia per chi magari, sono tantissimi, ha ancora il mutuo da pagare. Sarà una manna per i paperoni, con ville lussuose, per i proprietari di castelli, magari intestati a nullatenenti e così passano come prima casa. E sono pure evasori fiscali, perché loro possono non pagare le tasse sul patrimonio mentre il poveraccio dipendente paga fino all’ultimo euro.
Ammette il ministro che la sua teoria è “eccentrica” ma non fa un passo indietro
Il ministro ammette che la sua “teoria “ economica è eccentrica e che bisognerebbe puntare a misure che creano lavoro, occupazione, alla detassazione, ma anche agli aumenti salariali visto che il rinnovo dei contratti è fermo da anni, minimo tre in generale, cinque o sei ormai per i pubblici dipendenti. Possibile che l’economista di razza incorra in così evidenti banalità, per non dire di peggio? Allora siamo andati a rispolverare un vecchio dibattito fra economisti sviluppato su una rivista molto autorevole del Pci, Critica marxista. Pubblicò, nel 1975, una relazione di Padoan dal titolo “Il fallimento del pensiero keynesiano” che riassumeva il lavoro di un gruppo di giovani economisti costituito presso l’Istituto Gramsci sul tema “Limiti del dirigismo e fondamenti teorici della politica delle riforme”. Tema cui aveva dedicato molta attenzione anche il Manifesto.
La relazione del ministro a conclusione di un gruppo di lavoro all’Istituto Gramsci
La relazione di Padoan riconosce l’efficacia delle politiche di sostegno pubblico alla domanda aggregata per la piena occupazione ottenute in particolare attraverso aumenti salariali ma afferma che a tale aumento “non corrisponde però sempre un adeguamento della struttura produttiva (una volta raggiunto il tetto della capacità produttiva esistente, oppure anche prima, se si tiene conto di strozzature dovute alla presenza di monopoli o di posizioni di rendita) e si hanno così dei persistenti fenomeni inflazionistici”. Portato della piena occupazione è una “situazione di conflittualità” che produrrà “continue tensioni dovute alle risposte delle imprese alle rivendicazioni operaie per tentare di ricostituire i margini di profitto tramite aumenti di prezzo alimentando ulteriormente il processo inflazionistico”. Non c’è molto da aggiungere. Proprio tornando al passato si capiscono le politiche economiche portate avanti dal governo. Si capisce la “sensibilità” di Padoan di cui parla Renzi. Non crediamo che il premier conosca il pensiero keynesiano, ma si fida del suo ministro. Il gatto e la volpe. Ma fino a quando?
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