Il caso Volkswagen. Dinamica e conseguenze di un imbroglio industriale

Il caso Volkswagen. Dinamica e conseguenze di un imbroglio industriale

Da nostro corrispondente a Berlino.

 

La Volkswagen ha manipolato i dati relativi alle emissioni di ossido d’azoto dei suoi più recenti modelli diesel, così da poterli vendere nei mercati mondiali aggirando le diverse norme in difesa dell’ambiente e della salute, garantendo al contempo la prestazione dei veicoli al massimo livello. Il colosso automobilistico tedesco, con sede a Wolfsburg, ha perpetrato in questo modo una truffa di livello globale ai danni dei consumatori e dei vari paesi importatori, infangando la propria immagine e, indirettamente, quella dell’intero Made in Germany.

Tecnica d’un inganno

Per avere una chiara idea della vicenda e capire come sia stato possibile tale imbroglio, dobbiamo tuttavia soffermarci un attimo sul funzionamento tecnico dei moderni sistemi di catalizzazione negli autoveicoli diesel. La combustione del carburante, come noto, produce ossidi di azoto – nocivi per il sistema respiratorio e altamente inquinanti l’atmosfera – che devono appunto essere smaltiti o ridotti dal dispositivo catalizzatore. Di questo ne esistono diverse varianti, tutte basate su procedimenti chimici: quella relativa a un modello Volkswagen in questione prevede, ad esempio, l’iniezione di ammoniaca, mediante la quale i pericolosi ossidi d’azoto vengono scomposti in innocuo azoto e vapore acqueo.

L’immissione di ammoniaca è però regolata dalla centralina dell’automobile, il cosiddetto ECU, il cervello elettronico che controlla ormai la maggior parte delle funzioni del veicolo – dall’airbag all’autoradio, dalle luci alla chiusura centralizzata. Attraverso l’ECU è possibile regolare anche le varie modalità con cui lavora il motore (city, sport, e via dicendo), ed è operando su tale falsariga che entra in azione il software alla base della truffa. La particolarità di questo software è appunto quella di comprendere, mediante una serie di algoritmi, se l’automobile viene sottoposta a qualche forma di test, in genere su rulli da officina, o se stia viaggiando normalmente in strada. Nel primo caso l’ECU regola il sistema di catalizzazione come dovrebbe, nel secondo invece lo disattiva, facendo aumentare esponenzialmente le emissioni di ossidi d’azoto.

La scoperta e le reazioni

La discrepanza tra le prestazioni “controllate” e quelle su strada è stata rilevata su due modelli Volkswagen, la Passat e la Jetta, dall’International Council on Clean Transportation (ICCT) negli Stati Uniti, dove i limiti di ossidi d’azoto sono significativamente più restrittivi rispetto all’Europa (40 milligrammi per miglio, contro gli 80 milligrammi per chilometro nel Vecchio Continente). Sempre secondo fonti statunitensi, nell’America settentrionale sarebbero circa 480000 le vetture Volkswagen in circolazione, sulle quali sarebbe stato installato il software in questione.

Tuttavia la stessa azienda automobilistica di Wolfsburg ha affermato recentemente come tale programma sia in dotazione a tutti i modelli di motore EA 189 – per, complessivamente, 11 milioni di veicoli venduti in tutto il mondo – aggiungendo che, nella maggior parte dei casi, tale software non dovrebbe però avere alcun effetto pratico sui processi di catalizzazione. Ciò nonostante i vertici della Volkswagen non negano affatto l’accaduto e, anzi, hanno già porto pubblicamente delle scuse, proprio attraverso lo stesso presidente del Gruppo Volkswagen, Martin Winterkorn. A New York, nel frattempo, il rappresentante statunitense del colosso automobilistico, Michael Horn, impegnato nella presentazione al pubblico proprio della nuova VW-Passat, non ha potuto far altro che ammettere la gravità dello scandalo, chiedendo perdono per la disonestà mostrata verso gli enti di controllo ambientale e verso i clienti.

I danni per la Volkswagen e per l’economia tedesca

In ogni caso i danni per l’azienda sono già ingenti: le autorità statunitensi presenteranno certamente un conto salato – si parla di decine di miliardi di dollari – quale ammenda per l’imbroglio, mentre a livello internazionale si sollevano richieste per indagini approfondite sulle reali emissioni di ossidi d’azoto dei veicoli Volkswagen. Inevitabilmente, inoltre, il titolo ha subito alla borsa di Francoforte un repentino tracollo, che ha mandato in fumo milioni di euro degli azionisti. A questi contraccolpi economici si sono aggiunte anche le critiche politiche, levatesi da ogni frazione del Bundestag: se la Cancelleria non manca di invocare maggior chiarezza sull’accaduto, le voci più dure – come quella di Martin Burkert (SPD) – indicano già una sconfitta complessiva per tutto il Made in Germany.

Indubbiamente vi saranno dei contraccolpi per tutta l’economia tedesca. Non soltanto perché la produzione automobilistica, con al vertice proprio il Gruppo Volkswagen, rappresenta uno dei principali settori industriali, ma soprattutto perché la truffa e le menzogne dell’azienda gettano una macchia indelebile sul buon nome delle esportazioni tedesche, basato proprio sui caratteri di affidabilità e di serietà.

Il vero problema è: perché?

Tuttavia diversi punti rimangono ancora oscuri. Primo fra tutti le proporzioni del fenomeno, e se esso riguardi solamente la Volkswagen oppure anche altri marchi – tedeschi o esteri – del settore automobilistico. Inoltre, risulta ancora difficile capire le ragioni effettive che hanno portato i dirigenti di Wolfsburg a manipolare i dati sulle emissioni, ovvero ad attuare una truffa di livello internazionale, che poteva essere scoperta benissimo con controlli più accurati – come effettivamente è avvenuto.

La risposta più inquietante è anche la più semplice. I sistemi di catalizzazione infatti riducono le prestazioni del veicolo, ma la stessa Volkswagen ha basato la propria immagine su un modello di efficienza e di applicazione di alti standard tecnologici. Si diceva, in altre parole, che le macchine prodotte garantivano le migliori prestazioni con il minor impatto ambientale – nella formula del clean diesel – presentandosi quindi sui mercati come superiori, sotto ogni aspetto, rispetto alla concorrenza.

Si tratterebbe, in questo caso, di una truffa dettata da ragioni di marketing, in considerazione di un pubblico di consumatori sempre più attento ai possibili danni verso l’ambiente e verso la salute delle persone, ma che non intende al contempo rinunciare alle grandi cilindrate e ai motori potenti. Se così fosse avremmo però tutti qualcosa su cui riflettere, e la questione non riguarderebbe soltanto un’azienda tedesca o un colosso della produzione automobilistica, ma il nostro stesso rapporto con beni di produzione industriale di cui non sappiamo fare a meno, nonostante i danni, manifesti, che arrecano a noi stessi e a quello che ci circonda.

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