
L’Unione Europea ha approvato venerdì 17 luglio il prestito-ponte a tre mesi di 7,8 miliardi di euro alla Grecia, per poterle consentire il ripaga mento delle rate dei prestiti contratti con la BCE e il Fondo Monetario Internazionale. Nel giorno in cui anche il Parlamento tedesco ha dato il suo via libera ai nuovi negoziati per nuovi aiuti, pari a 87 miliardi di euro, giunge finalmente la buona notizia per Atene anche sul fronte finanziario. Ancora non è certo se questo prestito-ponte a breve scadenza servirà ad accelerare l’apertura delle banche, con conseguente pagamento di stipendi e pensioni. Certo è che si tratta di un prestito per pagare altri prestiti, in scadenza per i mesi di luglio e agosto. “Abbiamo trovato l’accordo sul finanziamento ponte”, ha detto ai giornalisti il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis (qui nella foto), “l’accordo è sostenuto da tutti i 28 paesi membri”. E meno male.
Sul piano delle scadenze ravvicinate, il governo greco di Alexis Tsipras si troverà a rimborsare 4,2 miliardi di euro alla BCE lunedì 20 luglio e 1,5 miliardi al FMI, relativi alla rata già scaduta il 30 giugno scorso. Come si vede, non resterà moltissimo nelle già esauste casse greche per rilanciare un minimo di stato sociale. Appunto, nuovi prestiti per ripagare vecchi prestiti, una ricetta che ha sempre fallito altrove, e che speriamo riesca a riportare, invece, un po’ di speranza al popolo greco, già sottoposto a stress e a umiliazioni di ogni tipo. Umiliazioni di cui non porta alcuna responsabilità.
In una dichiarazione firmata dal presidente Tusk, il Consiglio europeo, a sua volta, dopo aver espresso felicitazioni per l’accordo raggiunto sul prestito, si affretta però a ricordare che “il prestito consentirà di pagare gli arretrati a FMI e alla Banca di Grecia e di pagare la rata alla BCE, almeno fino a quando la Grecia comincerà a ricevere finanziamenti in virtù di un nuovo programma di aiuti in base al Meccanismo di Stabilità Europea”. Il prestito ponte, dunque, sarà effettuato secondo le norme previste dall’EFSM, il Fondo salva stati, creato nel 2010, quando ebbe inizio la crisi greca. Il fondo coinvolge tutti e 28 i paesi della UE, non solo quelli della eurozona, e non è stato affatto facile convincere britannici, bulgari, svedesi e danesi a votare a favore, se non con l’impegno che essi non pagheranno un euro per sostenere la Grecia. Un bel risultato, che manifesta una volta ancora le fratture in seno all’Unione europea, e la evidente mancanza di solidarietà tra popoli che pure attraversano la medesima crisi.
Il cancelliere dello Scacchiere britannico, Osborne, molto vicino al premier Cameron, fin da giovedì ha opposto la sua contrarietà al prestito UE per la Grecia, “dopo aver raggiunto”, ha detto, sorprendendo l’opinione pubblica nazionale e internazionale, “un accordo che protegge quel paese, ma che distribuisce le perdite sugli altri paesi della UE”. È intervenuto a ruota lo stesso premier Cameron che ha insistito sul fatto che il suo paese non è responsabile del ripaga mento del debito greco perché la sua valuta non è l’euro. Il punto sostanziale è che ormai, dopo la Grecia, i riflettori saranno puntati anche sulla Gran Bretagna e sul dibattito relativo al referendum, più volte annunciato da Cameron, per l’uscita dalla Unione europea. Cameron teme di essere scavalcato dalla destra antieuropeista di partiti come l’Ukip, di Farage, che ovviamente cavalcheranno l’onda greca a loro vantaggio. Ha ragione il professor Ashoka Mody nell’articolo pubblicato nel nostro giornale: nel nostro continente si è rotto il tabù politico dell’appartenenza necessaria. Ormai, chiunque può uscire. Era questo il risultato sperato dalle folli politiche di Merkel e di Schaueble?
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