
L’attuale tensione tra l’Unione Europea e la Russia di Putin ha toccato attimi da tragedia, altri da farsa. Insita di per sé nell’idea stessa di confederazione europea – ovvero quale costituzione di un nuovo attore internazionale capace di competere, strategicamente ed economicamente, con le superpotenze – e inaspritasi soprattutto con l’allargamento a Est della UE, la concorrenza tra Mosca e i paesi occidentali ha raggiunto il culmine con la crisi ucraina dello scorso anno, sovrapponendosi al non meno aspro confronto tra Stati Uniti e Russia. In questa situazione drammatica, fatta di guerre civili, strette sanzionarie e poco velate minacce di escalation, hanno trovato spazio anche ripicche e dispetti: il pepe della diplomazia.
Di queste ripicche e di questi dispetti abbiamo avuto un saggio proprio negli ultimi giorni. Se da qualche mese le autorità russe avevano negato il visto ad alcuni esponenti del mondo politico e militare occidentale, adesso è emersa una sorta di black list, non confermata né smentita da Mosca, di 89 personalità indesiderate, tra cui spiccano numerosi europarlamentari e membri di diversi governi dell’Unione Europea, colpevoli di esercitare critiche contro la Russia o di essere favorevoli all’inasprimento delle sanzioni. Se nessun italiano risulta citato tra gli 89 nominativi – a eccezione di Anna Maria Corazza Bildt, naturalizzata svedese – cospicuo è il numero dei tedeschi finito in questo strano Indice, anche se la palma del primato spetta senza dubbio alla Polonia, da cui provengono ben diciassette indesiderati.
I “sette grandi” si riuniscono senza Putin. Presenza non gradita
Dal parlamento europeo e dai singoli governi – soprattutto Germania, Olanda e Svezia – si sono levate vibranti proteste contro tale ingiustificato provvedimento, ma il loro effetto principale è tuttavia solo quello di ingigantirne la portata. Non vi è dubbio, infatti, che si tratti di un’effimera reazione di un paese tanto potente quanto isolato, legata sia alla crisi ucraina sia alle condizioni del prossimo G7. Ai primi di giugno, infatti, nel castello di Elmau, nei pressi di Galmisch-Partenkirchen, ad appena cento chilometri da Monaco di Baviera, si riuniranno i sette “grandi” del pianeta senza Putin e senza la Russia, sospesa dalla partecipazione a simili summit dal marzo del 2014.Ripicche e dispetti si intrecciano dunque al grande gioco della politica mondiale. La loro prima conseguenza pare quella di irrigidire le posizioni, irritare la controparte e, forse, gettare fumo negli occhi mentre carte migliori o più pericolose vengono scoperte. Eppure Europa e Russia devono convivere, poiché non esistono alternative credibili di egemonia dell’una sull’altra parte e, ammesso e non concesso che il progetto comunitario prosegua, gli screzi effimeri potrebbero essere interpretati anche come il tentativo di giungere a un modus vivendi senza produrre gravi rotture. Da parte europea questo pare abbastanza pacifico: dai primi momenti della crisi siriana all’ultimo viaggio di Angela Merkel e François Hollande a Kiev e Mosca, si è manifestata chiaramente l’intenzione di evitare confronti diretti con Mosca – quali invece potrebbero piacere a Washington o ad alcuni paesi dell’Europa orientale – e di porsi quali partner credibili o non automaticamente ostili.
L’appoggio russo ai partiti euroscettici una minaccia per l’esistenza della Ue
La Russia, invece, non sembra ancora aver adottato una linea precisa. Comprende bene l’alterità della politica estera europea rispetto a quella statunitense, tuttavia non cessa di minare a fondo l’esistenza stessa dell’UE – soprattutto con l’appoggio, anche economico, ai partiti euroscettici – ottenendo magari un vantaggio immediato, ma rischiando di compromettere ulteriormente la propria posizione strategica nel lungo periodo. L’unica bussola della politica estera di Putin sembra essere la cognizione dell’attuale isolamento russo, ma se la ragione vorrebbe che un capo di stato tentasse di trarre fuori il proprio paese dal novero dei paria della comunità internazionale, un ruolo decisivo è però giocato dalla politica interna.
Anche in Russia crescono le critiche dei confronti di Putin da tre lustri al potere
Il potere di Putin in Russia, che ormai va avanti da più di tre lustri, non poggia su fondamenta indistruttibili. Le critiche all’interno del paese hanno assunto toni crescenti – il maggiore uso della violenza nella repressione ne è un chiaro indice – e il perdurare delle sanzione o dell’isolamento non faranno che erodere il consenso. Per rimanere il sella all’orso russo, Putin deve necessariamente presentarsi come l’uomo forte, come il difensore del rango di superpotenza della Russia; così egli si può assicurare il favore dei militari, dei grandi industriali e, soprattutto, dell’opinione pubblica conservatrice o patriottica – stampelle che da sole possono ben valere la poltrona al Cremlino.
Il primo cedimento potrebbe essere fatale per Vladimir Putin e, probabilmente, i diplomatici europei ne sono ben consci. È lecito dunque sperare che questi dispetti e queste ripicche siano in fin dei conti solo l’olio necessario a far scorrere bene l’ingranaggio di un rapporto difficile come quello tra Russia ed Europa, dal quale possiamo aspettarci scintille ma, confidiamo, nessun incendio.
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