Eccidio al Museo del Bardo di Tunisi, l’editoriale dello scrittore Kamel Daoud

Eccidio al Museo del Bardo di Tunisi, l’editoriale dello scrittore Kamel Daoud

Kamel Daoud è uno scrittore e giornalista algerino di lingua francese. Molto attivo nel corso della cosiddetta “primavera araba” del 2011, per le cui iniziative fu arrestato, è un grande conoscitore del mondo arabo, della sua cultura, e soprattutto della sua deriva fondamentalista. Dopo i fatti di mercoledì scorso a Tunisi, ha scritto un editoriale assai interessante per il quotidiano francese Liberation, che qui abbiamo tradotto.

La Tunisia è un simbolo. La formula si era esaurita dopo i grandi entusiasmi della “primavera araba”, ma resta vera: questo paese ha reinventato la rivoluzione dopo la decolonizzazione, ha deposto un dittatore, ma ha anche aperto una via tra gli islamisti e i democratici. Questo paese è il solo, nel mondo detto “arabo”, che non subisce il diktat “mascherato” di un esercito che decide chi sarà presidente o accattone, né la maledizione di una rendita petrolifera maledetta, ed è il solo in cui un presidente è eletto davvero. Questa si chiama democrazia, e la Tunisia ne è l’unico esempio promettente in questo mondo “arabo” intrappolato. L’economia di questo paese dipende dai suoi sforzi, dai suoi servizi, dal suo turismo, dal suo saper-fare, dalle sue classi medie, dalle sue elites e non dai suoi pozzi e nemmeno da Dio. Il fallimento della “primavera” in paesi come la Siria o la Libia si è preso gioco di regimi arabi e la Tunisia è il solo caso che prova che vi è una vita sul pianeta di Allah e che la democrazia è possibile e non culturalmente incompatibile con l’arabismo. Tunisi è il cuore autentico del mondo detto “arabo”, non è gradita al Cairo del panarabismo o all’Algeri di una esausta decolonizzazione. È dunque questo cuore, questo centro, che i jihadisti hanno colpito: un attentato in un luogo di cultura (sono i musi che l’Isis distrugge a colpi di martello), uccidendo turisti (fonti dell’economia tunisian), accanto al Parlamento (luogo della fragile democrazia), e dove stavano per essere votate efficaci leggi antiterrorismo. È un attentato di “sniper”, di cecchini. Ora lo si è capito, avevano come obiettivi l’economia, la democrazia, e tutta una nazione. Sembra quasi banale ripeterlo, ma è di questo che si tratta. Oggi, questo paese è sottoposto al funesto battesimo del “grande attentato”, e dovrà farvi fronte. E un giorno, quattro anni fa, questo paese offrì lo splendido spettacolo di un risveglio che provocò fervore nel mondo. Il 14 gennaio del 2011 molti si auguravano di essere tunisini. Oggi, giustamente, si tratta di esserlo.

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