Dopo il “partito Nazione”, Renzi escogita la “Tv Nazione”, ovvero la nuova Rai. Ma le idee sono confuse, pericolose e sbagliate

Dopo il “partito Nazione”, Renzi escogita la “Tv Nazione”, ovvero la nuova Rai. Ma le idee sono confuse, pericolose e sbagliate

Nel corso del Consiglio dei ministri di venerdì 27 marzo, è stato presentato il piano di riforma della Rai. Sul sito del governo si può reperire il documento di 4 scarne paginette, in cui si tenta di ridefinire missione, ruoli e funzioni della nuova Rai nell’era Renzi. I quotidiani online giustamente si concentrano sulle ipotesi di nuova governance, che emergono dal disegno di legge governativo: un cda con 7 membri (rispetto agli attuali nove) e un amministratore delegato dotato di poteri molto ampi. I grandi elettori dei 7 componenti del cda saranno le due Camere, che ne eleggeranno due ciascuna, il ministero del Tesoro, azionista di maggioranza della Rai, che esprimerà tra i suoi due consiglieri anche l’amministratore delegato, e i lavoratori, che voteranno il loro consigliere. Il cda esprimerà al proprio interno anche il presidente. L’amministratore delegato potrà contare su un’autonomia decisionale su spese fino a 10 milioni, un’enormità. Presentando il disegno di legge in conferenza stampa, il premier Renzi ha messo subito le mani avanti, almeno su due questioni: lasciare al libero dibattito del Parlamento la volontà legislativa sulla Rai (ma vedremo che non sarà così, leggendo il documento allegato) e riducendo la funzione della Commissione di vigilanza a “cane da guardia”, in modo da tenere fuori dalla Rai i partiti e la politica. Sembra un annuncio di riforma interessante, invece è un progetto pieno di contraddizioni, buchi, lacune, ideologismi. Vediamoli da vicino.

6 nomine su sette del cda sono politiche. E col nuovo Senato, entrano in Rai anche gli interessi politici delle Regioni

Non sappiamo chi abbia elaborato il disegno di legge a Palazzo Chigi, o al ministero delle Comunicazioni. Forse il sottosegretario Giacomelli, il quale aveva annunciato una grande consultazione pubblica sulla riforma della Rai, ma è accaduto come nel caso della Buonascuola, una manfrina propagandistica. Con l’approvazione della riforma costituzionale monocamerale e della legge elettorale iper maggioritaria, impossessarsi della Rai, da parte di una qualunque maggioranza politica sarà gioco facile. In teoria, con i due selezionati dal ministero del Tesoro, una qualunque maggioranza potrebbe portare a casa 6 consiglieri su 7. E se si pensa che tra questi vi sarà anche l’amministratore delegato dotato di nuovi e più ampi poteri, viene la pelle d’oca. The winner takes it all, chi vince prende tutto: sembra questa la filosofia, coerente coi progetti politici di Renzi, che ispira anche la riforma della governance Rai. E infine, col nuovo Senato di secondo grado e rappresentativo dei Consigli regionali e dei sindaci, è evidente che nel Cda Rai potrebbero trovare posto due consiglieri espressione degli interessi, legittimi, ovviamente, dei gruppi politici territoriali, vicini alla stessa maggioranza. Altro che politica fuori dalla Rai. È proprio il contrario, anzi con la novità della presenza di gruppi di pressione territoriali (immaginate le lotte di potere nelle sedi regionali, ad esempio) rappresentati e tutelati direttamente in cda. È la certificazione delle mani delle maggioranze politiche sulla Rai. Non è un bell’affare.

Il documento allegato: la Rai come “Tv Nazione”. Espressione retorica per compiacere il capo?

Con la presentazione della riforma della governance, è stato messo in rete un documento di 4 paginette, che cerca di spiegare, e di legittimare, l’intervento sul servizio pubblico da parte del governo. Ora, anche in questo caso, non sappiamo chi l’abbia redatto materialmente. Ma abbiamo letto cose divertenti, altre meno divertenti, altre ancora addirittura pericolose. Quel che appare, è che il documento scorre con una serie di giudizi, di valutazioni, di affermazioni, evidentemente scritta da chi non ha mai fatto televisione, non ha mai scritto di televisione, e non sa cosa sia un contenuto televisivo. Andiamo con ordine. L’incipit del documento è fenomenale (e dimostra quanto dicevamo prima sull’ignoranza televisiva e mediatica dell’estensore): “Da oltre sessanta anni la Rai ha un compito: comunicare l’Italia. Deve tornare ad assolverlo in maniera decisa ed efficace. Riformare il servizio pubblico radiotelevisivo significa questo: mettere la Rai nelle migliori condizioni per ‘informare, educare, divertire’, per poter essere la più innovativa azienda culturale italiana, per poter riscoprire quel ruolo divulgativo che ne ha segnato il suo primo vero successo”. La confusione terminologica e concettuale è evidente. Il passaggio successivo è ancora più comico: “La Rai ha raccontato e costruito l’identità culturale e sociale del nostro Paese, ma con gli anni la morsa della burocrazia e dei partiti ha ridotto fortemente la sua capacità di competere, soprattutto a livello internazionale, indebolendo l’azienda. Oggi occorre riannodare i fili di quell’identità”. Se qualcuno, a palazzo Chigi o al ministero delle Comunicazioni, avesse la bontà di spiegarci cosa voglia dire questo concetto, che appare cruciale, gliene saremmo grati. Si confonde l’identità culturale, che è cosa seria, con la capacità competitiva, distrutta dai burocrati e dai partiti, che è pura cosa seria, ma altra dall’identità.

La nuova Rai, da broadcaster a media company, la vulgata dei palazzi del potere

E come se non bastasse questa gigantesca confusione concettuale e mentale, il documento si avventura in quella che è divenuta ormai la vulgata dei palazzi del potere: trasformare la Rai da broadcaster in media company. Ora, detta così, sembra perfino una cosa buona, intuitivamente. Ma contraddice quel che il documento propone nel suo stesso incipit, a proposito dell’infotainment, che è tipicamente televisivo, e dunque da broadcaster. Cosa intenda per media company, il documento non lo dice. Troppo complicato. E per confermare il nostro punto di vista critico basta leggere alcune righe più oltre, quando appunto, nel documento si parla esplicitamente di “Tv Nazione”, e dunque ancora di broadcaster. Qui davvero la confusione raggiunge il suo punto massimo: delle due l’una, o la Rai diventa media company, e la Tv nazione è un controsenso (in ogni azienda mediatica innovativa scompare, di fatto, l’identità nazionale), oppure la Rai continua ad essere quel che è sempre stata, un broadcaster, che produce, acquista e trasmette contenuti televisivi e radiofonici. Per quale ragione, poi, la Rai debba trasformarsi in media company, il documento non lo dice. Insomma, da un lato, il documento sembra civettare il progetto renziano del “partito nazione” con una “tv nazione” che lo esalta e l’accompagna. Dall’altro, scimmiotta qualche teoria mediatica orecchiata qua e là, o letta magari sul web (wikipedia…), senza dire nulla di veramente importante. Se il progetto di riforma della Rai si dovesse giudicare da questo documento, sarebbe da respingere integralmente, e bene farebbero e faranno le forze sociali, politiche e sindacali a criticarlo dalle sue fondamenta e a rimetterlo al mittente.

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