
Quando entrano al Nazareno le direttori e i direttori (si chiamano così quelli che fanno parte di una direzione?) del Pd è come se s immergessero in un vuoto pneumatico. La realtà politica, le tante interviste e dichiarazioni, a partire da Renzi Matteo, quello che si legge sui giornali e che loro non smentiscono, gli incontri oscuri, i patteggiamenti con Verdini, tanto per dirne uno che, in un paese normale, non dovrebbe aver niente a che vedere con un partito che aderisce al socialismo europeo, i nomi che si fanno circolare a proposito del presidente della Repubblica, le cene, specializzazione degli ex democristiani, poco ex, gli scontri alla Camera e al Senato con le minoranze Pd, tutto si dimentica, evapora. Proprio mentre Renzi apriva la riunione della Direzione arrivavano numeri sulla crisi: anche il 2015 sarà un anno di deflazione, neppure nel 2017 è prevista la ripresa. Niente, tutto resta fuori dalla sala. Gli esponenti di minoranza ormai ci hanno fatto l’abitudine. Si può parlare per pochi minuti ma è tutto già deciso.
La teoria renziana: cambia la legge elettorale, il Pd deve adeguarsi
Non solo. Il segretario premier si avventura su un terreno scivoloso. Dice che il partito va cambiato, parla di rapporto fra iscritti ed elettori, di primarie da rivedere, di struttura da definire. Ma non ora, sarà materia di dibattito congressuale, fra due anni. Allora, perché porre il problema adesso, alla direzione? Semplice: la nuova legge elettorale, dice è una “riforma storica”, a questa riforma bisogna adeguare il partito. C’è da rimanere basiti, nel pensiero renziano ogni volta che si cambia una legge elettorale i partiti devono adeguarsi. Pensate un po’ quale sommovimento politico ci sarebbe in tutto il mondo. Una storia di mutazioni infinite. Non basterebbe a descrivere il “fenomeno” una serie di libri di storia delle dottrine politiche. Il vero problema del Pd, il punto di partenza, è quale sia la sua identità, da qui discendono strutture, ruolo degli iscritti, tutte cose che Renzi non ha studiato da boy scout. E nel parlare usa sempre il mi e non il ci. “Mi” interessa, non “ci” interessa. Una direzione che discute di nulla non può, giustamente, prevedere confronto. Con fastidio si ascoltano gli interventi, tutti non vedono l’ora di andarsene.
Fassina non molla: subito il nuovo decreto fiscale. Il premier dice no
Chi non molla è Fassina: chiede che il governo, da subito, riscriva il decreto fiscale, elimini il famoso 19 bis che premia gli evasori, più ricchi sono più li premia, Berlusconi compreso. Il premier non fa una grinza. Faremo tutto, ma tutto cosa? Il 20 febbraio chissà, dopo l’elezione del Capo dello Stato. Già, perché di questo si doveva parlare, il segretario doveva render conto di quanto fatto fino ad oggi, di come proseguire per garantire il massimo della trasparenza e della partecipazione. E dire, per esempio, come si erano mossi i suoi del “Giglio magico”, controllori dei parlamentari Pd, alla ricerca dei possibili franchi tiratori, indicare a grandi linee l’identikit del Presidente. No, lui è andato molto più in là.
Una finta task force per l’elezione del Presidente della Repubblica
Ha deciso che la Direzione e l’Assemblea del partito devono ritenersi convocati in maniera permanente, così i gruppi parlamentari. Dove sempre vuol dire mai tanto ci pensa la task force, lui stesso, il presidente Matteo di cognome Orfini, ma è lo stesso, i due vicesegretari e i capigruppo Speranza e Zanda. Questi ultimi saranno impegnati nei lavori di Camera e Senato, avranno belle gatte da pelare. Sarà lui, a mani libere con il timbro della Direzione, a continuare a gestire la materia. Il nome indicato verrà fatto 24 ore prima dell’apertura delle urne.
Il “grande arbitro”, balle per esautorare l’inquilino del Quirinale
L’unica indicazione che fino ad ora ha avuto la bontà è stata quella del “grande arbitro”. Per il presidente della Repubblica è questo, solo questo. E i giornalisti tappetino lo ripetono giorno dopo giorno. I suoi pappagallini, direttore e direttori, in coro, “grande arbitro”. Ma arbitro di che, fra chi, qual è il terreno su cui si gioca? Ignoranti e incolti, i poteri del Presidente della Repubblica sono scritti nella Costituzione. Si vadano a leggere gli articoli 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91. Ma non è tutta qui la riunione della direzione. Ci sono “perle” che risplendono, segnano quanto sia caduto in basso questo Pd.
Liguria: si annullano un po’ di voti, ma va tutto bene. Il premier benedice
Abbiamo ascoltato la ministra Pinotti che, con tono signorile, non vede niente di strano nel fatto che esponenti dell’Ncd, di Forza Italia, amici di Scajola, abbiano sostenuto nelle primarie in Liguria l’assessore uscente, Raffaela Paita, si apprestino a chiedere il conto, una giunta Pd-Centro destra. E Paita se la prende con Cofferati perché non si è congratulato con lei, non le ha offerto collaborazione. Il voto annullato in 13 seggi, l’apertura di una inchiesta da parte della Procura della Repubblica di Savona che riguarda altri due seggi, incidenti di percorso. Basta fare una sottrazione dei voti annullati, circa il 10% un chiaro segno di inquinamento e Paita resta in vantaggio. Quindi bene, come dice Renzi, l’onore è salvo. Tutti insieme appassionatamente. Che doveva dire visto che anche qui c’è l’impronta della sua “manina”?
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