
La forza comunicativa delle immagini accompagna da sempre il cammino degli uomini: le pitture preistoriche, le mappe degli aborigeni fino agli affreschi delle chiese e ai segnali stradali ci raccontano un linguaggio visivo articolato e onnipresente. Tuttavia da quando la macchina fotografica prima e gli strumenti digitali poi hanno sostituito la mano umana è progressivamente aumentata la presenza degli input visivi in cui ci si imbatte quotidianamente, fino a presentarsi come un’invasione in ogni ambito dell’esistenza. Tale invasione però non è solo quantitativa ma anche sostanziale: poco ci pare interessante o addirittura credibile se non accompagnato da una foto. Dalle conferenze ai servizi giornalistici, dai racconti personali ai nostri schermi portatili, molta parte della comunicazione è veicolata dal contenuto iconografico con tutti i rischi di distorsione dell’informazione che conseguono alla scelta di una inquadratura e dell’impatto emozionale che si vuole creare.
Il ruolo della fotografia in campo artistico
All’interno di questa complessità si colloca anche la discussione sul ruolo della fotografia – e in seconda battuta anche dei video – in campo artistico. All’inizio della sua storia sembrò per alcuni segnare la fine della pittura mentre, in realtà. alcuni artisti se ne servirono da subito per approfondire la loro ricerca; da quando poi il digitale ha tolto anche quella parte di manualità che si svolgeva in camera oscura, si sente sempre più spesso dire che oggi tutti possiamo essere bravi fotografi. Se è vero però che la tecnologia a portata di mano consente a chiunque di fare una foto almeno accettabile e la postproduzione arriva ancora più in là, le macchine sono pur sempre degli strumenti come lo sono stati il pennello o lo scalpello e non creano niente da sole.
Tre modi di esprimersi con le immagini
Esistono in linea generale tre modi di esprimersi con le immagini: il primo tiene presente soprattutto il lato estetico e si realizzano composizioni nelle quali si pone l’accento sull’aspetto formale; il secondo ha una impostazione più legata a quello funzionale, cioè alla trasmissione di informazione come accade nel reportage in cui il fotografo svolge il ruolo di testimone di una realtà, più o meno partecipe, ma, comunque, mai ininfluente; c’è infine il fotografo che sceglie di attingere all’essenza stessa della fotografia, quella dell’attimo: si scatta dopo una sorta di premonizione che di lì a poco tutto sarà perfetto e si disporrà secondo un ordine interno alla vita che per un istante si mostra, svelando un significato così profondo da creare immediata risonanza in chi guarda. Come ha recentemente affermato Ferdinando Scianna, occhio, mente e cuore devono tutti entrare in gioco in quella che possiamo definire una “bella” foto. Entra in gioco anche la fortuna, favorita però dall’uso instancabile dei piedi e dalla disponibilità dell’artista a seguire i suoi presentimenti. I più smaliziati talvolta pare le diano una mano ricostruendo a posteriori attimi perduti, o, invece, altri che avrebbero voluto incontrare.
Il consiglio è quindi quello di visitare mostre di fotografia con una certa regolarità, anche se non ce ne sentiamo particolarmente attratti, per addentrarsi progressivamente nei diversi linguaggi: succederà come per il Jazz che la prima volta sembra quasi distante, ma poi diventa irrinunciabile
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